“Fare della crisi un’opportunità”. Così scriveva il nostro Amministratore Apostolico monsignor Gallo Fernandez venerdì 25 ottobre nella sua lettera indirizzata a tutta la Diocesi di Talca (buona parte della VII regione del Cile). Ormai da settimane il nostro amato Cile è sottosopra. E’ bastata una piccola scintilla – l’aumento di 30 pesos cileni (equivalenti a 3,8 centesimi di euro) del costo del biglietto della metro – per far scoppiare un incendio che covava nei meandri della società cilena da anni.
Le cause di queste proteste, di questo malcontento e di tutti i disordini, a volte anche violenti e riferiti dai media anche in Italia, hanno radici profonde e dolorose nel passato e nella storia del nostro Paese.
Per raccontarvi la situazione che stiamo vivendo faccio mie le parole di un mio confratello, che in questi giorni ha voluto rassicurare con uno scritto i frati Conventuali in Italia.
Scrive fra Giuseppe: “Arrivato in Cile diversi anni fa a poco a poco mi sono reso conto di come la nostra gente dovesse affrontare numerose ingiustizie sopratutto in tema di salute (un Paese dove ci sono ottime strutture per curarsi, però private e carissime: quante le persone che hanno aspettato mesi per iniziare un trattamento ad esempio contro un tumore in strutture pubbliche con le conseguenze che potete immaginare), di educazione (qui l’istruzione non è gratuita e studiare all’università per la maggior parte dei ragazzi vuol dire indebitarsi), di salario (il salario minimo attualmente è di 370 euro circa con un costo della vita in proporzione decisamente alto), di pensione (pensioni ridicole con la pensione minima di 120 euro).
“Fino a un paio di settimane fa il Cile era sicuramente considerato come uno dei Paesi più sicuri, economicamente parlando, di tutta America Latina grazie a questo sviluppo post dittatura, uno sviluppo però, come già detto, che ha accentuato sempre più la differenza tra i poveri – sempre di più e sempre più poveri – e i pochi ricchi, sempre più ricchi. E i poveri hanno sopportato il tutto per tanti, troppi anni, finché a partire da venerdì 18 ottobre è scoppiata “la bomba” sorprendendo tutti! La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’aumento del biglietto della metropolitana. Fin dall’inizio hanno preso il sopravvento durissimi atti di vandalismo e distruzione che hanno messo fuori uso la metro, vero gioiello di struttura e soprattutto il mezzo più usato dalle classi più povere per andare al lavoro (fuori uso 80 stazioni in poco tempo con distruzione pressoché totale di numerose altre).
“Dalla capitale Santiago il fenomeno si è diffuso rapidamente a macchia d’olio a tutto il paese e ben presto alle distruzioni si sono aggiunti i saccheggi dei supermercati e i numerosi incendi provocati. Un panorama davvero tremendo. Si è arrivati in poco tempo allo stato di emergenza nazionale con carabinieri e militari nelle strade e il coprifuoco nelle ore notturne (cosa che ha risvegliato nei più vecchi il tempo dolorosissimo della dittatura). Poi i primi morti, i feriti e i numerosi detenuti (si parla anche di eccessivo uso della forza fino a torture).
“Una situazione grave, complessa, tutta in divenire e con un governo messo decisamente in scacco. Quanto durerà? Non si sa, però sicuramente ancora per largo tempo (sono sul tappeto misure di tipo sociale che possano, almeno parzialmente risolvere le tante ingiustizie sociali, però…). Solo dopo alcuni giorni sono iniziate le prime manifestazioni pacifiche della maggior parte dei cileni che vogliono sì un cambio che faccia loro finalmente giustizia, però attraverso il dialogo, senza violenza.
Venerdì 25 a Santiago si è tenuta una manifestazione di 1 milione e 300 mila persone, la più grande nella storia del Paese, segno di un Cile bello, che si è svegliato e vuole camminare unito in pace e in dialogo verso mete concrete di giustizia. Chi porta avanti la violenza e le distruzioni è un gruppo di “incappucciati” (per non farsi riconoscere) che si muovono come veri folli (sabato notte sono entrati nella cattedrale di Valparaiso distruggendo tutti i banchi) e con i quali è impossibile dialogare. Questi i fatti a grandi linee. Da poco è stato tolto lo stato di emergenza e il coprifuoco”.
Credo di poter dire che la gente cilena è arrivata a questo punto di disordini e di rivolta violenta anche perché è stanca di promesse e non ha più fiducia né nelle istituzioni politiche, né nei militari e neppure in quelle religiose e non trova leader positivi. E’ lungo l’elenco di abusi, scandali di ogni genere, corruzione nelle istituzioni. In tutti c’è molto dolore, molto scoraggiamento, delusione e rabbia.
Quello che sottolineavo all’inizio lo ribadisco ora, e faccio mie le parole del nostro vescovo Gallo: “Nessuno di noi può sottrarsi al compito di trasformare questa crisi in un’opportunità per un nuovo Cile. Ognuno, dal luogo in cui si trova, è chiamato a farsi coinvolgere nel compito di rendere questo momento doloroso un’occasione benedetta per una nuova convivenza tra i figli di questa terra”.
Anche noi francescani ci stiamo dando da fare stando accanto alla gente che soffre e che spera, che lotta e che desidera un Cile migliore, più giusto, pacifico, fraterno e ugualitario. Nelle tre comunità francescane presenti nel Paese, in questi giorni preoccupanti e movimentati, noi religiosi stiamo proponendo momenti di preghiera per la pace e la giustizia e promuoviamo manifestazioni pacifiche con la nostra gente fuori dalle chiese: come dice il salmo, tutti cerchiamo e perseguiamo la pace e la giustizia.
Paz y bien!
(Padre Tullio Pastorelli è Francescano Conventuale missionario a Curicó, Cile)
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