DOMENICA 23 FEBBRAIO 2020 – SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO A
Lv 19,1-2.17-18; Sal 102; 1 Cor 3,16-23; Mt 5,38-48
E’ fresco di stampa il libro di Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, intitolato «Odierai il prossimo tuo», che ha come sottotitolo «Perché abbiamo dimenticato la fraternità».
Il volume presenta una serie di riflessioni sul tempo presente, sulle sue paure, sul tentativo di cancellare il volto dell’altro, che sempre meno è considerato un fratello da amare e sempre di più un nemico da cui guardarsi.
Si è diventati tutti più insensibili e «abbiamo perso molta della compassione verso chi sta peggio di noi e di conseguenza anche gli spazi di solidarietà concreta tendono a rattrappirsi».
Addirittura l’aiutare chi sta peggio, «è ridotto a buonismo» e se un tempo si poteva assistere «alla globalizzazione della solidarietà» oggi si assiste al dilagare dell’indifferenza, del disinteresse, dell’apatia. Nell’altro è sempre più difficile vedere un fratello; si vede il nemico da combattere.
Le parole del Vangelo di oggi (Mt 5,38-48) chiedono ai cristiani prima di tutto di avere uno sguardo capace di abbracciare il mondo, di non chiudersi dentro la cultura che respirano, o dentro la vita circoscritta e limitata del paese che abitano, di non coltivare soltanto l’orto sotto casa. E’ necessario senza dubbio essere attenti a quello che si possiede, a quanto si è costruito, alle proprie tradizioni. Questo non deve però impedire ai discepoli di Gesù di guardare al diverso e nemmeno al nemico.
Il nazionalismo esasperato porta alla chiusura e alla contrapposizione. Dovremmo recuperare una illuminante espressione di R. Garaudy: «Ogni persona e ogni cultura è una parte di me che mi manca».
Il proporre e il difendere le proprie idee non deve essere disgiunto dall’ascoltare quelle degli altri con onestà e sincerità, senza parzialità. La controparte è l’avversario, il diverso, non il nemico da combattere. Cominciare a ragionare così, probabilmente aiuterà tutti a compiere un piccolo passo verso il comando di Gesù: «Amate i vostri nemici». Ma perché amare il proprio nemico? Perché amare chi non la pensa come me? Che vive in modo diverso da me? Perché amare chi combatte le mie idee e i miei progetti?
Il nemico, se inteso come il diverso da me, può arricchirmi e aiutarmi ad avere uno sguardo più profondo sulla realtà. Più egli è distante da me e più mi costringe a verificare le mie idee per rivederle e migliorarle. Chi ama solo l’amico che frequenta e la pensa più o meno come lui, rafforza le sue convinzioni col rischio che si cristallizzino, irrigidendosi.
Un autore latino suggeriva di aver paura di quella persona che conosce un solo libro. Oggi potremmo dire: temi l’individuo che legge un solo giornale, che ascolta una sola voce, perché quasi certamente non vede le differenze attorno a lui, sente ma non ascolta. Ascoltare più voci non solo apre a maggior libertà, ma sia pure nella fatica, porta ad avere un respiro universale.
Il contrasto può portare ad approfondire le proprie idee, a capire che non si è padroni di tutta la verità, ma solo di parte; l’altra parte la devo cercare. Evidentemente si tratta di saper guardare al mondo e a chi lo abita; si tratta di confrontarsi e accogliere i contrasti. In fondo i profeti, coloro che sanno vivere e testimoniare la parola di Dio, sono circondati più dai conflitti che dalla benevolenza della gente. «Amare il nemico non è un atto di benevolenza; è un grato riconoscimento per gli stimoli ricevuti».(Borsato)
Vivo in una comunità aperta agli altri, al mondo? So ascoltare idee diverse dalle mie? Cerco l’apertura di Dio che fa piovere sui buoni e anche sui cattivi?
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