Pierino ha così riabbracciato il dottor Bruno Fronza, allora responsabile dell’Associazione dei lavoratori italiani cristiani (ACLI), Ugo Corrà, impiegato factotum, chiamato a sbrigare, in collaborazione con i rappresentanti sindacali, pratiche e richieste di ogni tipo dei 5 mila lavoratori impegnati del bacino imbrifero del Chiese nella costruzione di ben 4 dighe. Si tratta di un sistema con condotte forzate dell’acqua attraverso cunicoli e gallerie che dall’alto scendono fino all’ultimo bacino di Cimego. Da anni il terzetto di “arzilli vecchietti” non si vedeva. A dire il vero l’età c’è, e si sente, dicono coralmente, ma in loro non è scemato il dinamismo e il coraggio del passato ed intendono perciò ironizzare sul termine “arzilli”. Fronza, nonostante i suoi 90 anni è quanto mai impegnato nel sociale. Corrà pur pensionato di 86 anni, con alle spalle anche una lunga esperienza di funzionario di partito, la Dc, si gode la sua bella famiglia (6 figli e sette nipoti), ma in quanto memoria storica democristiana mantiene legami saldi con tanti ex. Infine Pierino, 82 anni ben portati, che ha saputo intelligentemente trasformare un’ormai fatiscente baraccopoli operaia dismessa al termine delle gradi opere, in un punto di riferimento turistico in prossimità di malga Bissina, ricavandone un ristorante, alcune strutture ricettive ed un bar. Gli resta solo il baretto, come dice lui, in un punto strategico (lì si ferma la strada asfaltata di accesso e il parco Adamello-Brenta gestisce dei parcheggi a pagamento) e panoramico sulla valle, dal quale controlla, consiglia, spiega a passanti ed escursionisti i molti segreti della zona. Pierino, con un passato, da ragazzo, come carbonaio al seguito della famiglia, si considera un nomade come i pastori che arrivano con le loro greggi in val Daone dopo il disgelo, per abbandonare i pascoli con i primi fiocchi di neve.
L’esperienza tra i minatori, muratori, manovali, gruisti, carrettieri e camionisti, tecnici e investitori, ha segnato profondamente la loro vita. Il Mantovani con Alessandro Togni ha descritto, con dovizia di particolari, in un paio di libri – corredati da numerose foto d’epoca che riproducono cantieri, progetti, realizzazioni – la vita di questa comunità improvvisata e dispersa fra le montagne, che trovava il suo punto di raccordo proprio a malga Bissina dove Pierino doveva affrontare e risolvere ogni tipo di problema, dall’alimentare al logistico, degli operai. Alle relazioni con le famiglie e alle questioni previdenziali e assistenziali ci pensavano Corrà, zelante aclista, Battisti della Cgil, e Lona della Cisl, sempre in movimento in sella ad una Vespa, tra le Giudicarie e Trento e lungo la Val Daone, assaporando in più occasioni l’amaro gusto della polvere a causa dei ruzzoloni durante i trasferimenti causati da fango, sassi e buche.
Tutti avevano il loro pied-à-terre a Pieve di Bono alla Casa del lavoratore. La regia era in mano di Fronza, a Trento, dove dal dopoguerra il movimento aclista aveva dato vita a tutta una serie di iniziative con i corsi professionali, la mensa, il patronato e l’assistenza ai lavoratori, specie sui cantieri idroelettrici nel Basso Chiese e nel Primiero, dove Corrà venne dirottato alla fine lavori sul Chiese, e fra gli emigranti. Non mancava l’assistenza spirituale, assicurata dai parroci per le maestranze che operavano a bassa quota e a malga Boazzo e Bissina da padre Ottorino Marcolini (1897-1978), bresciano, che si fece prete dopo aver conseguito la laurea in ingegneria, cappellano militare degli alpini del Battaglione “Val Fassa” che ha avuto per attendente anche lo scrittore Mario Rigoni Stern, appassionato della val Daone e di Fumo, già prima dell’avvio dei lavori idroelettrici e quindi di casa a malga Bissina per tutta la durata dei cantieri. Per primo acquistò alcuni manufatti dismessi dall’impresa Lodigiani per farne colonie estive per ragazzi e studenti. Nella rievocazione dei ricordi il racconto dell’uno dei tre testimoni, prosegue con quello dell’altro, in una linearità che attesta la condivisione di un capitolo di storia e di vita che stupisce per l’assenza di particolari autocelebrativi, per così dire “eroici”, rientrando il tutto in una normalità fatta di avventure, di fatiche, di preoccupazioni e di senso del dovere, con un tocco in più di altruismo.
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