Lo spunto
All’appello di questo nuovo libro (“La grandezza dell’amore”, un tema che da sempre ha appassionato romanzieri, filosofi e poeti) l’autore ha risposto prontamente, affrontando un’autobiografia delicata della professione del carabiniere. L’autore è infatti Gennaro Riccio, maresciallo–luogotenente dell’Arma, una vita da investigatore, a contatto con le realtà più profonde ed anche più nascoste del Trentino. L’originalità del messaggio sta nel mettere insieme virtù e vizi, uomini e santi, istituzioni, situazioni e luoghi (il Trentino dove ha operato e Siano vicino a Salerno, dove è nato). Ci sono persone, come Alcide De Gasperi e la figlia Maria Romana, incontrata nella casa di Sella. E’ un libro dedicato all’amore che sostiene il vivere umano e ai vizi che tutti coinvolgono e spesso lo soffocano. Il primo vizio è l’ingratitudine, cui seguono la gelosia, la seduzione, la superbia … Riccio mette a confronto la storia del suo paese di nascita (“L’etnostoria di Siano”, al confine fra Salerno e il Cilento) e il Trentino, di cui si sente figlio adottivo, ma anche le sue “istituzioni”, come la Cooperazione, i Cori, gli Alpini.
Nel libro Gennaro Riccio ricorda anche il suo “maestro” alle Medie, il professor Francesco Caiazza , che gli ha insegnato non solo a scrivere, ma ad acquistare una dimensione piena di umanesimo interiore,bussola per affrontare anche le scelte più difficili nelle indagini: “Fate del bene e scordatevelo, fate male e pensateci.”
Vincenzo Rizzonelli – Trento
Le parole del maestro Rizzonelli, nella prefazione e nella successiva presentazione del libro davanti a un folto gruppo di amici, estimatori, magistrati, avvocati, danno attualità alle pagine di Gennaro Riccio, ancora più in questi giorni di timore e “quarantena” , di incertezza ed anche, in alcuni casi, di frattura, nelle relazioni territoriali: le regioni e lo stato, le “zone” che via via diventano “rosse”, il Nord e il Sud. Il libro infatti, composto com’è da un mosaico, un “patchwork” di poesie (in dialetto e in lingua) e ricordi, provocazioni e dialoghi, fa sì che prenderlo in mano diventi un antidoto al chiudersi in se stessi , avvicinando rapporti umani che la solitudine imposta dal timore del virus rischia di allontanare.
Il sottotitolo significativo, “Con anima, core e mente”) tratteggia poi con efficacia lo spirito dell’ autore, Gennaro Riccio, carabiniere, come egli si dichiara, maresciallo come lo conoscono quanti per lunghi anni hanno con lui lavorato in una carriera brillante e impegnativa per mantenere giustizia e convivenza civile (ché i “marescialli” restano i pilastri dell’Arma, non solo popolarissimi personaggi cinematografici, come nelle pellicole di De Sica o don Matteo …) infine ufficiale luogotenente, promosso per meriti di servizio, e poi scrittore, che questo libro è il quinto di una fortunata serie, che ha venduto migliaia di copie il cui ricavato è stato tutto devoluto all’ “Onomac”, l’Opera che sostiene i familiari e gli orfani dei carabinieri caduti in servizio.
Tanti specchi della stessa persona, dunque, “formano” l’autore, ne costruiscono la sensibilità, tanti quanti sono gli imprevedibili personaggi delle sue pagine, figure della storia e della memoria, dell’attualità e del passato, del cielo e della terra, ché ci sono anche i santi come Vigilio e Gennaro, in dialogo fra loro.
E’ un libro singolare quindi, molto personale, ma al tempo stesso corale, perché coinvolge persone e situazioni, entra nelle virtù e nei difetti di territori e istituzioni, mostra come anche le migliori intenzioni o le orgogliose bandiere dell’identità (l’autonomia … la mediterraneità …) possano essere minacciate o lacerate dai rancori che si annidano in ogni animo umano, la gelosia, l’invidia, la superbia. Ma possano poi essere riscattate dall’amicizia, dall’amore (di qui il titolo) dall’abnegazione di vite buone e umili. In una simpaticissima e brillante presentazione Guglielmo Avolio, napoletano “verace” e presidente del Tribunale di Trento, ha definito il lavoro di Riccio un libro di “Universi paralleli”: ed è così perché l’autore muove i suoi personaggi su vari piani, come su un palcoscenico, ché a volte la recita pare una commedia dell’arte con arlecchini e pulcinella (ma anche pizze napoletane e canederli trentini) a volte una sceneggiata alla De Filippo, a volte ancora una sacra rappresentazione antica, che si realizza nei dialoghi fra il patrono di Napoli San Gennaro e San Vigilio, in un confronto che si allarga poi, fra cielo e terra, anche a Gennarino (l’autore) e a Virgo Fidelis, la patrona dei carabinieri.
Sono dialoghi esilaranti, mai irriverenti, in cui i santi “ridendo castigant mores”, sorridendo svelano i difetti dei rispettivi devoti e dei loro territori . Ma non è solo umorismo, perché attraverso questo mosaico di dialoghi, di fatto Gennaro Riccio ricompone l’Italia, mostra la bellezza e il piacere di sentirsi insieme nell’affrontare sfide che non mancano e difetti da superare. E se Vigilio spiega a Gennaro che non basta “l’autonomia” per evitare che i furbi si mettano i soldi in tasca, Gennaro chiede a Vigilio che prema sulle cooperative perché si radichino anche nel Cilento, così da impedire che quella terra meravigliosa venga abbandonata nelle sue colture, e venga data una prospettiva ai giovani. La bellezza del libro di Riccio sta nel’amore che egli porta verso i luoghi dove è nato e dove vive. Sta nel piacere di sentirli insieme, uniti nella loro diversità.
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