Le imprese fra emergenza e ripartenza

In ufficio si convive con il coronavirus Sars-Cov2-19

Su Vita Trentina del 5 aprile avevamo previsto che le prime misure anticrisi da Covid-19, varate con la legge provinciale n. 2 del 25 marzo, non sarebbero bastate. Pur avendo celermente affrontato l’emergenza della liquidità, ossigeno per le imprese – accanto alle analoghe misure governative – enorme ed eccezionale si presentava infatti, già due mesi fa, l’impatto del lockdown.

Si parla oggi di una caduta del PIL italiano di oltre 9 punti, e addirittura del 13 per cento in Trentino, per il peso dell’agroalimentare e del turismo. Uno scenario che reclama interventi massicci, che stanno prendendo forma.

La manovra dello Stato è irrobustita dal pingue e chilometrico «decreto Rilancio» del 13 maggio; quella della Provincia si esplicherà appieno con la nuova legge provinciale (ex ddl. 55), approvata in Consiglio il 10 maggio: a conferma della nostra facile profezia, il quadro delle misure è ora talmente ampio da stordire, e alla prova dei fatti è atteso da almeno tre tipi di aspettative.

La prima, intuibile, è la celerità nelle erogazioni a maggior connotazione sociale, come la cassa integrazione, il reddito di emergenza, i vari bonus legati alle famiglie, colf e badanti comprese, e al lavoro autonomo. La celerità è uno dei tasti dolenti di queste settimane; investe i pagamenti del settore pubblico e il credito, avviluppati in un ginepraio di regole, per la cui estirpazione non bastano gli schiamazzi ma servono riforme profonde, anche culturali.

La seconda aspettativa, più critica, è ampliata dalle ultime norme: gli aiuti a fondo perduto alle imprese. In questo caso l’ente pubblico non può far leva su risorse altrui, come nel credito, ma soltanto sul proprio bilancio. Tuttavia – come ha teorizzato, fra i primi, l’ex Ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria – se un’impresa non è emarginata dal mercato, ma da un provvedimento selettivo dell’autorità pubblica, ha pur diritto a una sorta di risarcimento degli introiti che le sono forzosamente sottratti, dunque a integrazioni di reddito, non a semplici prestiti. Il credito anticipa i ricavi, se i ricavi non ci sono, non è il credito che può supplirvi.

Gli aiuti a fondo perduto (anche in forma fiscale o di capitale) sono anche un ponte fra emergenza e ripartenza: corredandoli con obblighi a beneficio diffuso (come l’occupazione e il pagamento dei fornitori) si prestano a vari buoni scopi. Fra questi il ristoro del danno per il contenimento sociale (se calcolato in base ai redditi dichiarati sarebbe una ghiotta occasione per premiare l’onestà contributiva!), il sostegno di progetti per la salubrità e la sicurezza dei luoghi di lavoro, la ricapitalizzazione delle imprese, fino a planare verso la terza aspettativa: il rilancio degli investimenti. Un rilancio che, se orientato alla transizione industriale, ecologica e digitale, potrebbe in effetti agganciare la ripartenza alla rigenerazione del tessuto imprenditoriale, una necessità che freme sotto la coltre della pandemia, pronta a emarginare i territori che non sanno coltivare l’innovazione. Qui entrano con forza in gioco gli investimenti pubblici anche grazie (si spera) alle norme semplifica-procedure, perché sono gli investimenti a generare crescita e posti di lavoro qualificati.

Una buona manovra è dunque un mix di misure – e fin qui ci siamo (anche troppo) – chiamate a cucire assieme l’emergenza, la ripartenza e la rigenerazione, dando senso anche a uno straordinario reperimento di risorse. Questa «cucitura» è la vera sfida.

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