Governo Conte, una coalizione già in crisi

Ci si è molto esposti da parte dei vertici della maggioranza di governo a sostenere che il voto delle regionali in Umbria non poteva avere la valenza di un test nazionale. Lo si faceva nella aspettativa di una sconfitta, non difficile da prevedere visti gli andamenti in quell’ambito delle elezioni politiche ed europee, ma di una sconfitta che si immaginava contenuta. Invece è stata una debacle che ha segnata un distacco di ben 20 punti fra la coalizione di destra e quella che sostiene il governo. Impossibile che un simile risultato non avesse ripercussioni sul quadro nazionale, nonostante l’esiguità del campione interessato e la peculiarità di elezioni che avvenivano sull’onda di uno scandalo che aveva portato alle dimissioni anticipate della Giunta regionale.

Come accade quasi sempre, di tutto si è parlato meno che delle responsabilità di una simile debacle. Essa riguarda soprattutto M5S perché il PD è arretrato di poco rispetto alle politiche del 2018 ed alle europee (nonostante la scissione di Renzi), LeU non si è presentata e dunque non sia se e quanto abbia contribuito alla tenuta del PD. I Cinque Stelle si sono ridotti ad un misero 7% dopo che alle politiche avevano raggiunto il 27% e questo nonostante fossero riusciti ad imporre le loro bizze, cioè un candidato civico (scelto malamente) e la promessa di una futura giunta senza rappresentanti di partito. Aver esibito in extremis il premier Conte, nel presupposto che la popolarità che gli assegnano i sondaggi potesse fare il miracolo, non è servito a nulla.

Ovvio che la coalizione traballi in maniera significativa. Non è in gioco al momento la sopravvivenza del governo perché in sessione di bilancio l’esecutivo è di fatto blindato, ma certo è in discussione il suo futuro: inevitabilmente il voto in Emilia-Romagna e Calabria il prossimo 26 gennaio, a legge di bilancio approvata, costringerà, dopo le premesse di questa settimana, a tirare le somme dell’esperienza giallorossa.

Ora un partito o movimento che avesse un minimo di capacità di analisi politica dovrebbe chiedersi come mai, dopo aver imposto che si piantassero molte delle sue bandierine (taglio parlamentari, manette ai grandi evasori, reddito di cittadinanza, ecc.) è finita in maniera così catastrofica. Invece Di Maio per salvarsi dai critici interni si è subito buttato a disconoscere il valore della alleanza col PD ed a tornare a fantasticare del ruolo egemonico che avrà M5S quando riuscirà ad imporsi da solo (verrebbe da dirgli che la strada dal 7 al 51% è piuttosto lunga e tortuosa …).

Il PD avrebbe tutto l’interesse a farsi sentire e a chiedere conto ai Cinque Stelle della scarsa rilevanza delle loro impuntature, ma non può farlo per la semplice ragione che M5S ha il controllo della maggioranza parlamentare e se si ritira crolla il palco. Così sbuffa un po’, ma di più non riesce a fare, lasciando campo libero al corsaro Renzi, che sta al governo che ha promosso lui, ma afferma a vuoto che l’alleanza coi pentastellati non è organica: il che è ridicolo, perché è il primo a dire che bisogna tenersela fino al 2022-23 quando si voterà per il successore di Mattarella. Dovrebbe però spiegare come ciò sia possibile, visto che i numeri parlamentari dei Cinque Stelle sono essenziali per mantenere in piedi un governo ed evitare di andare ad elezioni anticipate.

Anche se per chi guarda dall’esterno questa situazione è quasi incomprensibile, proviamo a spiegarla. I Cinque Stelle, o meglio Di Maio e sodali, pensano di poter stare sia dentro che fuori, tanto gli altri non avranno il coraggio di far cadere il governo. Gli altri, ma in specie Renzi, pensano esattamente l’opposto: i pentastellati possono essere costretti a maggiore disciplina e ragionevolezza perché con le prospettive elettorali che hanno non si possono permettere di far cadere il governo. A chi obietta che però non si può proprio andare avanti così, nei retrobottega della politica si suggerisce il seguente scenario. Vedrete che Di Maio sarà rimesso in riga da Grillo e Casaleggio che non vogliono perdere i vantaggi del potere di governo (anzi forse lo metteranno anche da parte). L’attuale subbuglio interno alla maggioranza si potrà sanare secondo alcuni favorendo che Conte prenda la guida di M5S, oppure secondo altri lasciando cadere Conte per dare vita ad un nuovo governo con una guida più prestigiosa e un ricambio in ministeri oggi gestiti in maniera insoddisfacente.

Sa tutto molto di fantapolitica, che non tiene conto della forza che sta acquisendo la destra e della sua maggiore credibilità nel proporre una politica che, forse anche depurata di un eccesso di populismo, appare più lineare e facilmente comprensibile.

vitaTrentina

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