Governo Conte, una coalizione dispersa nelle nebbie

Ma il governo Conte ce l’ha una maggioranza parlamentare? La domanda non è peregrina, visto che la sua coalizione uno straccio di identità sembra proprio non riuscire a trovarlo. Ormai la definizione di “manovra senz’anima” per la proposta di legge finanziaria inviata alle Camere è entrata nel lessico giornalistico condiviso: il premier e il ministro Gualtieri la difendono (il secondo moderatamente), ma a parte loro quasi nessun altro. Inizialmente c’era il PD che si lamentava della freddezza degli altri partner, ma dopo che hanno realizzato che la trovata della tassa sulla plastica è un colpo basso alle loro politiche di resistenza alle regionali in Emilia, anche da quelle parti ci si è raffreddati non poco.

Il colpo decisivo alla stabilizzazione sembra venire dall’annuncio di Arcelor-Mittal di abbandonare l’Ilva al suo destino. E’ un brutto colpo perché stiamo parlando del destino di 10-15 mila posti di lavoro, fra il resto in una regione come la Puglia che non è che possa mettere in campo grandi alternative. Chi ha offerto l’occasione perché l’affaire deflagrasse sono stati ancora una volta i Cinque Stelle. Sono stati loro che per accontentare le ambizioni dell’ex ministra Barbara Lezzi che si dice punti a candidarsi alla presidenza della regione Puglia hanno tolto la garanzia della tutela penale ai nuovi padroni dell’Ilva. E’ stata una decisione dovuta, come è loro costume, ad un ottuso ideologismo: nessuno deve essere al di sopra della legge. La questione però non può essere posta in questi termini. Chi si deve far carico di bonificare un disastro ambientale (perché di questo si tratta) e si è impegnato per questo a spenderci dei miliardi non può essere sospeso al rischio di interventi della magistratura che interpreta a suo modo i doveri di tutela della salute pubblica e pensa a volte di poter dettare i tempi degli interventi. Considerando come funziona la giustizia in Italia, se si cade nelle volontà interventiste di singoli magistrati, ora che si riesca ad emergerne passano anni ed è comprensibile che chi investe in operazioni colossali, fra il resto in condizioni di mercato divenute poco favorevoli sia poco propenso a mettersi alla mercé di un sistema giudiziario e di un sistema politico che non danno non diremo alcuna garanzia, ma neppure una fondata speranza di poter sostenere l’impresa.

Del resto che la situazione del nostro paese sia questa è facilmente constatabile se si pensa a cosa sta accadendo con Alitalia. In questo caso le colpe non sono neppure dei Cinque Stelle, che su quel dossier sono arrivati tardi: è dai tempi dello scontro di Berlusconi contro Prodi (qualcuno ricorderà la trovata del Cavaliere sui “capitani coraggiosi”) che quella vicenda mangia denaro pubblico (tantissimo), con cui si sarebbero potuti sanare tanti problemi del bilancio statale.

Il problema è che a fare acqua è il sistema Italia nel suo complesso. Da questo punto di vista la vicenda Ilva è emblematica: governo gialloverde e governo giallorosso pari sono stati. Poi naturalmente ci si possono aggiungere le solite trovate tipo quella del ministro Speranza che non sa fare di meglio che tornare al ritornello sulle nazionalizzazioni, come se venisse da Marte e non sapesse cosa sono state le nazionalizzazioni nell’ultima fase della storia del nostro paese (quelle importanti e significative dei tempi a cavallo del primo centrosinistra sono una vicenda irripetibile, davvero di un altro mondo).

Quel che sembra emergere dalle ultime evoluzioni della politica governativa è che il PD si sta sempre più impigliando nella rete di una presunta “governabilità” che non è in grado né di garantire né di gestire. Per ragioni di resistenza all’assalto al potere di Salvini e della destra si è consegnato al ricatto del gruppo dirigente di M5S che fra il resto non si sa neppure più se sarebbe in grado di portargli una quota di consensi elettorali significativi quando inevitabilmente si andrà alla prova elettorale (a stare all’andamento dei sondaggi pare escluso).

Ci si può cullare nell’illusione di resistere fino al 2022 (elezione del successore di Mattarella) o addirittura al 2023 (scadenza della legislatura) ma temiamo che ci sarà ben prima un brusco risveglio. Senza coerenza politica e senza leadership capaci di accreditarsi davvero non si va lontani.

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