“In guerra” è uscito nelle sale a novembre 2018, ma la crisi economica che la pandemia lascia sul terreno lo riporta drammaticamente d’attualità. La vera guerra infatti non è quella contro il virus ma quella sociale ed economica tra il capitale finanziario e il capitale umano. E lo sarà ancora di più se non cambiano le regole. Stéphane Brizé, regista bretone classe 1966, aveva già affrontato il tema nel 2015 con La legge del mercato, che aveva portato al protagonista Vincent Lindon il premio per la migliore interpretazione maschile a Cannes. Con questo film prova a entrare dentro la logica delle parti contrapposte, l’impresa e gli operai, per analizzare il processo che governa la chiusura di una fabbrica e il rapporto delle forze in gioco.
Lo fa costruendo un film di finzione come un documentario, avvalendosi dell’esperienza di Xavier Mathieu, un sindacalista che ha vissuto un conflitto analogo nel 2009, affidando il ruolo a Vincent Lindon e ricorrendo ad attori non professionisti presi dal mondo dell’industria.
La questione è sul tavolo fin dalla prima scena, proprietari e azionisti della fabbrica Perrin di Agen vogliono chiudere la fabbrica per un profitto giudicato insufficiente nonostante sia attivo, e nonostante il patto sottoscritto con gli operai due anni prima, in cui si impegnavano a tenerla aperta almeno per 5 anni a fronte della riduzione di salari e della rinuncia a benefit aziendali. I 1.100 operai hanno onorato il patto, la proprietà no, ma non c’è alcuna autorità che intervenga a imporre il rispetto del contratto. Non il Tribunale del lavoro che dà ragione all’azienda, non il Governo che si dichiara impotente nei confronti dell’Impresa in generale. Il resto è l’analisi del braccio di ferro tra le parti.
I sindacati non mollano e portano avanti lo sciopero per ottenere il rispetto dell’impegno, per portare i vertici più alti al confronto diretto e, quanto meno, per costringere il Governo a far rispettare l’obbligo di Legge che prevede la vendita se si trova un acquirente accreditato. L’acquirente c’è, ma ancora una volta il Gruppo Aziendale non rispetta le regole e rifiuta la vendita, rivelando così la malafede e la vera natura speculativa del proprio operato. Impunemente.
Un racconto serrato e doloroso con un finale fulminante, un’interpretazione straordinaria di Lindon che dimostra una maturità artistica sorprendente. Ma soprattutto un’analisi lucida di un paradigma iniquo e antiumano che non è più accettabile e deve essere cambiato. Se non lo farà la politica, sarà guerra. Vera.
Lascia una recensione