Il pericolo della rigidità, non solo nella Chiesa

E’ un richiamo che interpella anche ciascuno di noi quello che il Papa ha espresso in due occasioni in Madagascar, parlando ai vescovi e poi ai sacerdoti che non devono mai essere “professionisti del sacro”, bensì pastori con l’odore delle pecore. Francesco ci mette in guardia dall’atteggiamento della rigidità, che – dice – “a me non piace, perché non viene da Dio”. “Oggi è alla moda trovare persone rigide – ha spiegato – sacerdoti giovani, rigidi, che vogliono salvare con la rigidità, forse, non so, ma prendono un atteggiamento di rigidità e alle volte – scusatemi – da museo. Hanno paura di tutto, sono rigidi. State attenti, e sappiate che sotto ogni rigidità ci sono dei gravi problemi”.
Quest’esortazione del Papa non va ricondotta soltanto alla responsabilità del discernimento e della formazione dei giovani (“in certi Paesi d’Europa – diceva Francesco ai pastori africani – la mancanza di vocazioni spinge il vescovo a prendere di qua, di là senza vedere la vita com’era…per favore, state attenti: non fate entrare il lupo nel gregge”), ma in generale all’atteggiamento con cui vivere le proprie convinzioni cristiane e anche il proprio ruolo nel mondo. Poche ore dopo, non a caso, il Papa ha ripreso il tema nella conferenza stampa sul volo di ritorno dall’Africa dicendo che egli non ha paura degli scismi nella Chiesa ma osserva “che oggi abbiamo tante scuole di rigidità dentro la Chiesa, che non sono scismi ma vie cristiane pseusoscismatiche, che finiranno male. Quando voi vedete cristiani, vescovi, sacerdoti rigidi, dietro ci sono dei problemi, non c’è la “sanità” del Vangelo. Per questo dobbiamo essere miti con le persone che sono tentate da questi attacchi, stanno passando un problema, dobbiamo accompagnarli con mitezza”.
Verrebbe a questo punto da rilevare che anche con i rigidi, il Papa non vuole essere a sua volta rigido, sa usare misericordia e raccomanda la mitezza, ma il suo allarme severo va approfondito e preso sul serio. Per rigidità egli intende probabilmente non un’attitudine caratteriale ma la deliberata posizione per cui ci si crede arrivati, non si accetta la critica, non si è disposti a camminare insieme, nemmeno a dialogare. E’ proprio da una genuina adesione al Vangelo – come dice la vita di tanti testimoni cristiani del nostro tempo, santi anonimi ma non certo rigidi – che viene la richiesta di porsi e proporsi in atteggiamento di accoglienza e di empatia verso l’altro.
I cosiddetti “nemici del Papa” per questa sua posizione gli rimproverano (e lo faranno anche in quest’occasione) un cedimento al relativismo e al soggettivismo. Attenzione, però: rigidità non significa rigore.
Sappiamo quanto lo stesso Bergoglio sia appunto rigoroso, fermo e risoluto nelle sue indicazioni magisteriali e quante volte – anche nei dibattiti sinodali – abbia spiegato che la verità non deve essere appannata o annacquata per motivi di contingenza o di convenienza.
Può essere produttivo applicare il “pericolo rigidità” anche fuori dall’ovile.
Nei rapporti interpersonali: è proprio a causa della rigidità che molte relazioni finiscono per indebolirsi o interrompersi e rimangono sterili. Dovremo cominciare a riuscire a dire a noi stessi dove si trova la radice della nostra rigidità, che affonda talvolta nell’insicurezza, nell’immaturità o anche in un’identità cristiana ancora fragile.
Nei rapporti educativi: quando ci si trova davanti al muro dell’intransigenza, si sarebbe tentati di tornare indietro o di alzare un altro muro. Meglio sarebbe provare a sgretolarlo con l’arma dell’ironia o con la carezza della carità, considerando che – come dice il Papa – quella rigidità nasconde in verità qualche problema.
Nei rapporti sociali o politici: una cosa è la coerenza, la fermezza, il rigore morale; altra cosa è la rigidità che finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio.

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