Non possiamo non sentirci focolarini

Ha usato volutamente questo termine “grido”, mons. Lauro Tisi, per evidenziare l’energia diffusiva della ex maestra Silvia ed ha poi aggiunto: “Attorno alla Parola infuocata del Vangelo possiamo ricostruire la vita delle nostre comunità, annientando il Golia dell’indifferenza, delle liti, delle mille diatribe in cui spesso s’impantanano”.

Un appello mai così forte dai tempi del vescovo mons. Carlo de Ferrari, il pastore a cui dobbiamo il merito storico di aver saputo discernere e custodire il carisma focolarino. Un richiamo che non si dovrebbe esaurire con l’onda emotiva di questo centenario: “Prendi in mano il Vangelo, Parola di vita, prova a viverlo nella sua straordinaria semplicità e radicalità – così Tisi ha poi esortato la nostra Chiesa – trasforma le tue comunità in piccoli rifugi, dove s’incontrano i poveri e si vive la fraternità”.

Parafrasando il filosofo Benedetto Croce che spiegò in un saggio del 1942 perché “non possiamo non dirci cristiani” vista la portata rivoluzionaria del Vangelo anche nella nostra cultura, verrebbe da dire oggi: “non possiamo non sentirci focolarini”. Non solo e tanto per l’humus trentino in cui i Focolari si sono innestati, quanto per l’essenzialità nella vita cristiana delle intuizioni di Chiara Lubich, forse ancora da leggere e riscoprire.
A partire dalla spiritualità di comunione, che annuncia e vive il testamento di Gesù (Gv 17, 20-23) nel dialogo con tutti gli uomini, fratelli nella comune umanità.

Siamo grati al presidente Mattarella per aver sottolineato però che queste intuizioni “vanno oltre” il recinto ecclesiale: sono un valore civile. Senza orgoglio campanilistico (che sarebbe sciocco), i trentini possono “sentirsi focolarini” in quanto conterranei di quest’esperienza storica che ha contagiato vari ambienti sociali e ha interrogato tanti non credenti: la fraternità anche nella dialettica politica, l’economia che rilancia la forza della cooperazione e prevede una condivisione con i più sfavoriti, la pace come costruzione quotidiana fin dai banchi delle agenzie educative.

“”Si può essere forti, molto forti, pur essendo miti e aperti alle buone ragioni degli altri” è l’epigrafe lapidaria lasciata da Mattarella nella città natale di Chiara Lubich. Che è state mite ma – potremo dire con un calembour, un gioco di parole – che non è un mito. La concretezza e la forza duratura del suo passaggio in questo secolo sta ancora nelle migliaia di persone che con lei e dopo di lei hanno creduto e ancora credono nella forza rivoluzionaria dell’amore vicendevole. Quella cristiana (e anche quella focolarina) è sempre un’esperienza di popolo, di comunità, non di leader isolati seppure carismatici. In questo senso è stato significativo sabato scorso reincontrare e salutare al Centro Mariapoli i volti dell’elettricista che 34 anni fa aveva dato una mano per l’impianto elettrico o l’artigiano che aveva dedicato tante ore di volontariato per realizzare questa struttura d’accoglienza. Quelle persone affascinate dalla Parola e dall’amore di Gesù Abbandonato sono ancora lì – anche 12 dodici anni dopo la morte di Chiara Lubich – a vivere la spiritualità di comunione in un cammino di Chiesa locale che – dopo queste giornate – si sente spronata dal valore dell’unità.

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