Sembra passato un altro secolo, erano poche settimane fa. Quelli colpiti dal virus allora erano ”deceduti” di province lontane, anonimi e distanti. Ora invece sono arrivati anche per noi i giorni del lutto: fra le vittime di quest’infido Covid-19 annoveriamo quasi tutti ormai un volto conosciuto, l’amico di un amico, il punto di riferimento del paese vicino. E allora molto ancora cambia. Cambia lo sguardo sul domani, il silenzio nel pregare, perfino il desiderio di farsi prossimo. Vorremmo poter fare di più (e ci chiediamo come) per stare accanto ai familiari delle vittime che – dopo aver assistito a distanza al calvario della terapia intensiva, appesi al telefono di una chiamata del primario – si trovano ad accompagnare al cimitero un marito, una madre, uno zio, un nonno. E lì solo un benedizione “in forma ristretta”, come raccomandano le sacrosante disposizioni, che rendono però ancora più straziante e più straniante l’ultimo saluto. “E’ come un sabato santo che non finisce più”, scrive il nostro don Giulio Viviani che osserva “quanto ci manchi terribilmente e la comunità in questi tremendi giorni di pandemia” nel suo profondo contributo sul tema pubblicato pochi giorni fa sul sito diocesano: “Proprio da noi – osserva il liturgista esperto di umanità – dove i funerali, si celebrano ancora, soprattutto nei paesi e nelle valli, come un momento di grande e insostituibile rilevanza comunitaria e di partecipazione nella solidarietà umana e cristiana che si esprime nei gesti tradizionali: nell’offrire un abbraccio ai familiari, nel dare l’acqua santa al defunto, nel canto e nella preghiera. Oggi avvertiamo come lacerante quel momento supremo senza nessuno, lasciati soli!”.Se è giusto far notare con don Giulio che comunque la presenza richiesta e assicurata dal parroco acquista il valore di una rappresentanza forte di tutta la comunità cristiana fino alla preghiera del congedo, si comprende anche quanto sia umana l’esigenza avvertita da tanti laici di poter “fare e dire” qualcosa di più per dare evidenza all’abbraccio comunitario attorno alla famiglia colpita dal lutto. E lo si è visto in questi primi giorni – anche, ma non solo – nella perdita di sacerdoti e religiosi amati dalla gente, attorno ai quali la gente non è potuta essere presente. Che fare allora? Non viene certo meno la comunione spirituale, misteriosa eppure reale, grazie alla quale sentirsi riuniti a distanza con il rosario in mano nella veglia della sera oppure nell’accompagnare idealmente la famiglia di conoscenti e amici nel corteo del funerale, anche se “ristretto”. E sentendosi comunitànel om doento menicale in cui il vescovo (o il proprio parroco, nel caso di Messe trasmesse nelle case) fa memoria dei defunti dell’ultima settimana, vicini e lontani. Ma per unirsi al dolore della famiglia in quest’impensabile quaresima non va dimenticata la forma più semplice: quella di una o anche due o tre telefonate, meglio di uno sbrigativo sms. Qualche liturgista è arrivato anche a suggerire la creazione di un gruppo Whatsapp per coinvolgere quanti sono legati a chi se ne è andato in una forma di comunicazione di ricordi e anche d’insegnamenti ricevuti. Molto più rischioso, anche per la sua potenziale apertura, un gruppo Facebook dove spesso i commenti, anche se ispirati da commozione e rimpianto, finiscono per rovinare il raccoglimento rispettoso che dovrebbe caratterizzare l’espressione del cordoglio umano e cristiano. Ma i dettagli contano poco; meglio ridirsi che “consolare gli afflitti” e “seppellire i morti” sono opere di misericordia possibili anche durante la pandemia che ci tiene lontani.
I nostri eventi
Tutti i nostri eventi
Lascia una recensione