A Sanremo c’era anche il pensiero

Amadeus con Diletta Leotta e Rula Jebreal

Sanremo 2020, edizione numero 70. Gli acciacchi dovuti all’età si sentono, ma sono ma sono ben mascherati e il Festival della canzone italiana nato nel 1951 veleggia nel panorama televisivo e dello spettacolo di intrattenimento, forte di un consenso del pubblico che quest’anno lo ha seguito e commentato con un interesse ancora maggiore.

I dati di ascolto sono i più alti degli ultimi anni, sia in termini assoluti che soprattutto di share, ovvero la percentuale di telespettatori che guardano la televisione nella stessa serata.

Intorno alle canzoni in gara, Amadeus e il suo staff hanno costruito uno spettacolo di qualità, ma di una lunghezza esagerata, talvolta oltre le due di notte. D’altronde le canzoni in gara dei big erano 24, molti gli ospiti di valore.

Il presentatore e direttore artistico ha fatto centro con un ottimo lavoro, impreziosito dalla presenza di Fiorello, suo amico di tutta una vita e autentico mattatore, showman che ha illuminato quattro delle cinque serate.

Proprio l’amicizia è stata una dei punti forti del Festival di Sanremo: tra i conduttori ma anche tra gli artisti, con la storica riconciliazione e il ritorno insieme sul palco dopo 39 anni dei Ricchi e Poveri e la presenza di Albano e Romina Power. E amicizia anche nella rottura di una rapporto come nel caso della clamorosa lite tra Morgan e Bugo.

Le stesse polemiche sorte prima del Festival sul “passo indietro” delle donne sul palco o la presenza in gara di Junior Cally si sono trasformate in occasione importante per parlare di violenza (vedi lo splendido monologo di Rula Jebreal), per sentire la testimonianza di cantanti come Laura Pausini, Fiorella Mannoia, Giorgia, Elisa, presenti in contemporanea non per un nuovo cd ma per una testimonianza antiviolenza. Fra i momenti più umanamente ricchi la partecipazione di un malato di Sla, la testimonianza della giovane cantante sfigurata dall’acido buttato dal suo ex e il monologo appassionato di Roberto Benigni sul Cantico dei cantici.

Viva il Festival di Sanremo, se permette seppur all’interno di uno spettacolo di intrattenimento, di fermarsi a pensare attraverso una canzone e una testimonianza. Non è un rischio portare in un festival il dolore e la sofferenza, è il merito di riuscire a far pensare in un mondo dove è sempre più difficile: come diceva Gaber “e pensare che c’era il pensiero”.

Tra gli artisti in gara, davvero splendida l’idea del complesso de Le Vibrazioni di presentare una bella canzone accompagnata dalla traduzione nel linguaggio dei segni, la bella voce del vincitore Diodato in “Fai rumore”, ballata intensa e romantica, la conferma di un artista di razza come Francesco Gabbani, vincitore per il televoto e la giuria demoscopica ma penalizzato dal voto della sala stampa con “Viceversa” con un pensiero sempre rivolto agli ultimi, la classe di Tosca vincitrice nella gara delle cover con “Piazza Grande”, la sorpresa dei Pinguini Tattici Nucleari, l’attenzione all’ambiente degli Eugenio in Via di Gioia che hanno parlato anche del Vaia trentino, l’educazione e il garbo del vincitore delle nuove proposte Leo Gassmann, il brano di Billy Blue di Marco Sentieri contro il bullismo).

Dietro le quinte e come ogni anno si respirava la tensione e l’emozione dei cantanti in gara ma anche degli ospiti, l’attesa davanti gli alberghi di giovani a caccia di autografie e selfie, e per le strade di Sanremo tantissima folla a vivere ogni momento in una città che diventa per sette giorni la capitale italiana ed europea della musica.

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