Richard Jewell, l’ultima “perla” del vecchio Clint

Una scena tratta da “Richard Jewell”

Quando un film può essere rovinato dal doppiaggio. E’ il caso dell’ultima perla di Clint Eastwood, “Richard Jewell”, sulla guardia di sicurezza che nel 1996, ad Atlanta, Stati Uniti, durante le Olimpiadi scoprì un pacco bomba, evitò una strage, “solo” due i morti e oltre un centinaio i feriti e nonostante questo venne messo alla gogna dall’Fbi e poi scagionato, senza neanche tante scuse. Quel doppiaggio, tra l’altro, va ricordato, introdotto in epoca fascista, rende il protagonista una macchietta. Che non era (è scomparso qualche anno fa). Una voce in simil falsetto che accentua la goffaggine fisiognomica del personaggio, la sua pinguedine, il modo disarticolato in cui si muove, interpretato da Paul Walter Hauser (già in Tonya, film premio Oscar 2017). Non rendendogli tra l’altro giustizia. Era sì magari esistenzialmente inadeguato, ligio alle regole in modo quasi stucchevole se non fin troppo zelante. Ma nient’affatto sciocco come invece appare sentendolo parlare, come prendesse parte ad una qualsiasi sit com televisiva, mondo che ormai rappresenta lo stilema di riferimento di una “scuola” di doppiatori oggi inesistente nonostante un passato glorioso.

Come nel precedente “Il corriere” (The Mule), il “vecchio” Clint, 89 anni, prende spunto dalla cronaca. E lo fa a modo suo. Sarà anche un gran conservatore, un unpolitically-correct, ma gli va riconosciuta l’onestà intellettuale di non guardare in faccia nessuno. In questo caso il Federal Bureau of Investigation, uno dei sancta sanctorum americani. Che viene fatto letteralmente a pezzi. Eastwood costruisce un meccanismo perfetto dove la suspence cresce minuto dopo minuto, dove da eroe il “povero” Jewell si trova nelle vesti di terrorista, sbattuto in prima pagina da una giornalista arrivista e senza scrupoli, disposta a tutto (nel frattempo scomparsa). Motivo per il quale il regista ha ricevuto più di una critica dal mondo del femminismo americano e non solo. Da incorniciare le interpretazioni di Kathy Bates (la madre di Jewell) e di Sam Rockwell, l’avvocato difensore (“Tre manifesti a Ebbing, Missouri” e “Jojo rabbit”, tra gli altri).

“Mi è stato insegnato a rispettare le autorità”, una delle frasi cult pronunciate dal protagonista. Magari ingenua, ma sincera. A proposito del film, il regista ha affermato che “prima di essere un atto di accusa nei confronti del sistema giudiziario e di quello mediatico, il film è mosso dal desiderio di risarcire la memoria di una persona ingiustamente accusata e che, qualche anno dopo essere stata scagionata, è morta a soli 44 anni”.

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