I nuovi schiavi secondo Ken Loach: Sorry, We Missed You denuncia il paradosso del modello consumistico

Ricky, il protagonista di Sorry We Missed You, il nuovo film di Ken Loach

Ma se non li facesse Ken Loach, chi li farebbe oggi film così politicamente e consapevolmente impegnati? L’ottantatreenne regista britannico, è l’unico regista contemporaneo che con i suoi lavori apre una finestra lucida sul mondo del lavoro e della working class di oggi.

“Sorry, We Missed You” è un film amaro, anzi amarissimo, uno spaccato crudo sulla condizione del nuovo proletariato o addirittura sottoproletariato nell’Occidente per così dire evoluto del Regno Unito, una volta paladino dei diritti e della costituzione. Dopo secoli di lotte per i sacrosanti diritti dei lavoratori e per i servizi per le classi più povere; dopo lotte e battaglie e addirittura guerre per arrivare al welfare, oggi l’Occidente ha azzerato tutto per per rincorrere il profitto – la crescita pura anziché lo sviluppo – e il consumismo ammantato dal velo del benessere.

Eppure Ken Loach con i suoi film spesso premiati ci ha sempre messo in guardia contro il liberismo sfrenato, ha già raccontato con le storie di vita dei suoi operai, da Riff Raff, Piovono pietre a Io, Daniel Blake, che il consumismo non produce benessere, che si può cambiare sistema, se si vuole.

E non si è ancora stancato di raccontarlo, non più con l’ironia arrabbiata di una volta, ma con il fermo immagine così doloroso di Ricky, il protagonista di quest’ultimo film, che disperato e picchiato urla al volante del suo furgone: “Devo, devo andare a lavorare”. Un drammatico e indimenticabile fermo immagine.

Ricky e Abby devono lavorare per tenere a galla la famiglia e i figli adolescenti, la ragazzina saggia e il ragazzo inquieto e problematico. Ricky diventa autista-proprietario di un furgone per la consegna di pacchi, lo diventa a caro prezzo perché vende la macchina di Abby, assistente di anziani, costretta quindi a muoversi in autobus e a stare fuori casa dalle 7.30 alle 21. E lui stesso deve correre, correre per consegnare più pacchi, sempre più velocemente: più corri più guadagni. Controllato da app e trasmettitori (“pistole”) che gli dettano ritmi infernali.

“Dove sono finite le otto ore di lavoro”, i diritti e il futuro dei giovani, in un mondo dove il lavoro è diventato senza garanzie? Sono le domande che la storia di Ricky e Abby pone allo spettatore.

Eppure nessuno sembra sentirle, tantomeno le classi più povere, quelle coinvolte perché vittime del sistema, schiave di un lavoro senza diritti e costrette a scegliere un lavoro anche se usurante, pur di rimanere a galla e godere delle briciole di quel benessere che, a qualcun altro, fa arrivare tutto a casa, da pacchi di qualsiasi tipo a privatizzate assistenze domiciliari.

Ma a che prezzo tutto questo? Il prezzo è molto salato, bisogna barattare la propria libertà per un lavoro che ti rende schiavo di te stesso, perché non c’è più un industriale padrone che ti sfrutta, non c’è una catena di montaggio che ti aliena, ti alieni da solo mettendoti in un meccanismo per cui per essere produttivo non puoi permetterti nemmeno una pausa. Non ti puoi fermare perché tutto è tracciato e se ti fermi paghi.

E’ un film che parla di poveri, di miseria, e vien da chiedersi se parlerà solo ai ricchi (come spesso succede con questo cinema) o anche agli inglesi che hanno votato per la Brexit e per i populisti, che ingannano con promesse che non potranno mantenere.

E allora perché?

Il consumismo davvero è l’oppio della società, non è mai stato così chiaro, e per un pacco a casa con la novità tecnologica, uno è disposto a tutto.

Si può solo sperare che chi abbia un briciolo di coscienza, dopo aver visto la storia di Ricky, provi a moderare uno stile di vita alienato e consumista, magari non utilizzando “anche per le mutande” Amazon Prime. Forse se si prova a boicottare il sistema qualcosa cambierà.

E magari anche dando ascolto alle parole del poliziotto che a Sebastian, il figlio di Ricky, dice di tenersi stretta la famiglia, perché c’è chi nemmeno ce l’ha, una famiglia.

Ma per quanto ancora reggerà questa benedetta famiglia, in un sistema che sta stritolando tutti i legami umani?

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