Negli spettacoli il pubblico cambia ad ogni replica, mentre in politica è sempre quello
Di questi tempi è difficile fare analisi politiche: è un po’ come chiedere ad un critico di scrivere un articolo per ogni replica dello spettacolo di cui ha recensito la prima. Qualche piccola variante magari ci sarà pure, ma la sostanza è di necessità ripetitiva. La differenza è che negli spettacoli il pubblico cambia ad ogni replica, mentre in politica è sempre quello.
Lo schema dunque diventa terribilmente noioso: Salvini che sfida Di Maio; Di Maio che sfida Salvini; Conte che fa siparietti per intervallare le sfide senza concludere mai nulla.
In politica interna è più o meno tutto bloccato. Abbiamo in ultimo assistito a qualche sussulto sulla questione delle autonomie differenziate, ma è molto dubbio che salti fuori qualcosa, perché non si è fatto nulla per arrivare ad una qualche mediazione. Lombardia e soprattutto Veneto avevano puntato molto in alto (l’Emilia Romagna si era accodata sotto tono, tanto che i suoi vertici non ne parlano praticamente mai). E’ probabile che l’avessero fatto secondo la logica tipica delle contrattazioni italiane per cui si chiede 100 per aver modo di chiudere a 60. Solo che Salvini non può in questo momento mostrarsi elastico e così il chiedere moltissimo è diventato il comodo alibi per gridare al perverso Nord che vuole spogliare il povero Sud.
I Cinque Stelle ovviamente danzano su questa musica, che per loro è celestiale, visto che credono ancora che il grande bacino dei loro voti sia nel Mezzogiorno. Si potrebbe dire che dopo quel che sta succedendo in Sicilia dovrebbero ripensarci, ma per farlo sarebbe bastato loro conoscere la storia d’Italia, che ha visto quelle terre molto intaccate dallo spirito trasformistico nella rincorsa all’individuazione del carro del vincitore.
Il fatto è che anche in materia di polemiche i due teatranti stanno esaurendo il repertorio, nonostante sia questo il momento migliore per trarre dei frutti dalla propria arte. Infatti se alle Europee tra meno di un mese la gente arriverà sfibrata dal girare a vuoto di questa campagna elettorale infinita è possibile che nelle urne ci siano più sorprese di quelle che pronosticano i sondaggi attuali.
E dire che di cose su cui riflettere ce ne sarebbero non poche. Prima di tutto la situazione degli equilibri europei futuri che sono tutt’altro che prevedibili. L’indebolimento che sembra interessare in parallelo sia Macron che la Merkel dovrebbe impensierirci: senza trasformare i due in idoli, non c’è dubbio che al momento non ci sia nella UE qualcosa che possa realisticamente assolvere allo stesso compito di un tradizionale motore franco-tedesco opportunamente calibrato.
Il governo italiano si sbaglia se pensa che il ridimensionamento delle due nazioni rivali ci possa favorire. Anzi è più probabile che per assecondare le loro opinioni pubbliche in fibrillazione tanto il presidente francese quanto la cancelliera tedesca siano portati ad accentuare una presa di distanza dagli interessi italiani (fra il resto poco comprensibili all’estero).
Si tenga conto che in questo momento le quotazioni internazionali del nostro paese non sono esattamente al top. Accade a causa della questione libica, dove l’Italia ha sbagliato strategia. In questo caso la colpa non è dell’attuale governo, ma di quelli precedenti, che hanno commesso gli errori tipici, diremmo storici, della politica estera italiana. Convinti che la regia fosse davvero in mano all’ONU ci siamo offerti di fatto come il suo braccio operativo sostenendo un governo scassato come quello Serraj, aprendo subito una nostra sede diplomatica a Tripoli e poi dandogli vari tipi di appoggi. Gli altri paesi ci hanno spinto ad andare avanti, mentre loro si tenevano in disparte in attesa di vedere come sarebbe andata a finire: hanno così prontamente cambiato cavallo scommettendo ora sul generale Haftar o quanto meno abbandonando Serraj al suo destino.
Il governo attuale si è limitato a procedere sulla vecchia via, se possibile anche in maniera più maldestra, sicché l’Italia oggi è emarginata e non sa che pesci pigliare (a parte il consueto funambolismo di Conte che racconta di poter fare il mediatore fra i vari litiganti, ma non gli crede nessuno).
Così mentre in politica interna non si riesce più a combinare nulla (perché nulla e non altro sono i vari proclami che si susseguono), non c’è neppure modo di prepararsi il terreno della politica estera per le scadenze che ci arriveranno addosso in autunno.
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