Il buio della paura, la luce della fiducia

Abbiamo avuto paura, diciamocelo. Da giorni il meteo anticipava un allarme rosso, i torrenti salivano verso i livelli d’allerta, c’era il consiglio di non uscire… ma quando nella serata di lunedì 29 ottobre si è scatenato il finimondo in molti abbiamo avuto paura. Delle acque che trascinano via massi come fuscelli e del vento che svelle le radici e abbatte i tronchi come fiammiferi. Tonfi sordi, attutiti dall’assordante rovesciarsi di pioggia cattiva, fulmini uno sopra l’altro.

Anche se le previsioni si fanno rigorosamente scientifiche, gli eventi hanno un margine d’imponderabile: un minuto in più o in meno, qua o là, e le conseguenze cambiano. Dove è saltata la luce, le sventate frustavano vetri e finestrini, ci si è riscoperti impotenti, creature fragili nell’era ipertecnologica. Qualcuno si è raccolto in preghiera, forse immaginando quel giorno di paura in cui pure “…si fece buio su tutta la terra”.

La lunga notte ha avvolto Dimaro – il gioioso centro del rafting e dei coloriti tifosi napoletani – che si è ritrovata smarrita all’alba, ricoperta di fango e senza una delle sue figlie, Michela, strappata all’affetto dei suoi cari. Da allora – come le torce dei soccorritori che avevano sfidato le tenebre e la colata del rio Rotian – si è acceso via via un fascio di luce alimentato dalla fiducia.

Quella che lo stesso Arcivescovo Lauro ha alimentato con la parola di Dio, riconoscendo segni di resurrezione nella compostezza di questa famiglia e nell’abbraccio di questa comunità. Dentro l’affidamento ad un Amore più grande che anche nell’ora dell’abbandono si fa misteriosamente presente..

E’ la fiducia che in queste giornate un po’ surreali – forse spinti dalla minaccia incombente – ci ha portato a seguire da vicino ed a ringraziare l’oliata macchina della Protezione civile trentina, non a caso assunta come capofila dall’intero sistema nazionale. E’ la fiducia che ha mosso i soccorritori a portare in salvo alcuni escursionisti al passo della Fedaia e sulla strada del passo Manghen. E tanti vigili del Fuoco – come i due di Cognola, Maicol e Ivan – sfiorati da una frana sotto Montevaccino, mentre il loro collega altoatesino Giovanni è stato travolto dallo schianto di un albero in val Badia. Preghiamo anche per la ripresa di Denis, colpito da un fulmine in val di Non.

Morti e lutti sono stati evitati grazie ad una rete di volontariato efficiente che la popolazione ha saputo supportare: l’emergenza riesce a suscitare una solidarietà “corta” talvolta impensata. Perché la luce duri è importante che essa si allunghi anche nelle prossime settimane, traducendosi in progetti duraturi e condivisi.

Questi tre giorni bui ci hanno confermato che la farfalla trentina ha le ali fragili. Le nostre valli – soprattutto nel caso di rapidi cambiamenti climatici (non pioveva da molti giorni) – nascondono possibili dissesti che vanno monitorati e curati. Non va arretrato l’impegno nella sistemazione dei bacini montani che – diciamocelo – ha alleviato moltissimo i danni di queste precipitazioni, mai così forti dal 1966. Così come va mantenuto efficiente il sistema di dighe, di regimazione e di “scarico” dei corsi d’acqua principali che ha consentito di mantenere (quasi) tutti i torrenti nel proprio alveo anche alla prova di precipitazioni a livello record.

Quanto è successo di doloroso, proprio nell’anniversario della storica alluvione, spinga il Trentino e i trentini a non allentare ma a intensificare gli sforzi nella prevenzione. Avremo ancora paura, ma sentiremo crescere la fiducia, anche quella reciproca. Di solidarietà c’è bisogno in questi anni di chiusure e individualismi.

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