La questione è come il sistema Italia potrà reggere lo scontro che è stato iniziato
La scelta del governo giallo-verde di andare allo scontro con la Commissione Europea è rischiosa, ma lo è altrettanto quella della Commissione di affrontare la prova di forza. Certo qualcuno da una parte e dall’altra cerca di gettare acqua sul fuoco: Conte ribadisce che con l’Europa si cerca il dialogo e Di Maio nega che ci siano piani di uscita non solo dall’euro, ma anche dalla UE; Dombrovski e Moscovici si dicono rammaricati di dovere per la prima volta usare uno strumento di censura così forte e si augurano che tutto si ricomponga. Fa parte di un rituale che conta quel che conta, cioè pochissimo.
La realtà è che questo punto d’arrivo è stato tenacemente cercato dal duo Salvini-Di Maio per la banale ragione che senza fare un bel po’ di deficit non era possibile trovare i soldi per finanziare le loro promesse elettorali. La Commissione a sua volta non ha giocato con intelligenza, perché era preoccupata di lasciar spazio al populismo e perché una parte di paesi del Nord sono da tempo ossessionati dall’idea di assumersi l’onere di mantenere le cicale italiane. Così anziché dare almeno l’impressione di suggerire modalità per sostenere la ripresa economica italiana, si è limitata a fare il ragioniere che revisiona i conti.
Adesso la situazione si incancrenisce inevitabilmente. Il governo non può accettare di fare la figura di chi si ritira con la coda fra le gambe: ci sono alle porte le elezioni europee, la Lega ha il vento in poppa (Trentino docet), i Cinque Stelle invece arrancano, ma proprio per questo non possono permettersi di apparire come pusillanimi. Allora avanti, anche se l’unica strategia è quella di urlare all’esproprio del benessere popolare da parte dei burocrati europei. Nella storia italiana lo si è già fatto con esiti disastrosi: qualcuno ricorda le polemiche di Mussolini contro il popolo (inglese) dei cinque pasti ai tempi delle sanzioni sull’Etiopia? La storia però dovrebbero leggerla anche a Bruxelles e sapere che certi comportamenti sono fatti per spingere gli stati nelle spire dell’avventurismo internazionale (allora la Germania di Hitler; oggi la Russia di Putin?).
Restando alla politica del giorno per giorno intanto la questione è come il sistema Italia potrà reggere lo scontro che è stato iniziato. Va benissimo dire che non si accettano lezioni dagli economisti di Bruxelles. Basta potergli contrapporre economisti di standard e reputazione internazionale adeguata, però non ci sembra sia quanto sta accadendo: quelli che il governo schiera come propri economisti per la maggior parte non sembrano persone di standard e di reputazione adeguata. Di conseguenza il nostro piano fa la figura di qualcosa elaborato da un gruppo di dilettanti allo sbaraglio, tanto più che si sa bene che dietro le adesioni di facciata Tria, Giorgetti e altri vorrebbero impegnarsi in battaglie in cui ci siano migliori garanzie di cavarsela.
A Bruxelles la situazione è quasi rovesciata. Neppure qui si riescono veramente ad esibire piani elaborati da studiosi responsabili non solo davanti alla matematica ragionieristica, ma anche ai bisogni della gente. Forse hanno tratto una lezione sbagliata dalla Grecia dove sono riusciti ad imporre una medicina molto amara nonostante le fiammate populiste molto accese. Ma lì si veniva da un lungo periodo di gestione truffaldina dei bilanci, di regalie insostenibili e sparse a piene mani in molte direzioni, sicché la situazione era così disperata che consentiva ai greci solo una resa senza condizioni.
Oggettivamente non è questa la situazione dell’Italia, che è messa male, ma non ha truccato i conti e soprattutto ha una base economica che può, sia pure a caro prezzo, reggere per qualche tempo lo scontro. Significa che la UE dovrebbe impegnarsi in una lotta che spinge il nostro paese verso lidi di radicalizzazione che sono pericolosi per tutti, perché c’è da scommettere che varie potenze interessate a tenere sulla corda la UE non vedranno male l’occasione di infilarsi, più o meno sottobanco, in questa diatriba.
Con le elezioni europee alle porte non è uno scenario auspicabile. Non perché, come ingenuamente pensano Salvini e Di Maio, dalle urne usciranno nuovi equilibri che renderanno difficile se non impossibile alla Commissione continuare sulla strada del braccio di ferro con l’Italia (Commissione che peraltro resterà comunque in carica nella attuale composizione fino a fine 2019). Piuttosto perché quei nuovi equilibri saranno probabilmente sovranisti e populisti in tutti i paesi, il che vuol dire che avranno alle spalle opinioni pubbliche agguerrite contro le vere o presunte cicale italiane che è facile accusare di essere la causa delle difficoltà economiche con cui fanno i conti i vari partner europei.
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