E’ (è accentata, non con l'apostrofo) arrivato dunque questo fatidico 21 ottobre, invocato e temuto. Non è un appuntamento rituale, come una mostra-mercato d’autunno che lascia solo foglie secche sulla piazza.
Rappresenta la “chiamata” di ognuno di noi – il voto è un atto personale, una delle poche cose che ancora non possiamo delegare – a esprimersi in modo diretto sugli uomini che amministreranno la nostra casa comune nei prossimi cinque anni. Non siederanno in Provincia per una riunione condominiale, ma prenderanno decisioni che cambiano e orientano la nostra vita: il lavoro dei nostri figli, l’assistenza dei nonni, l’educazione dei bambini, la permanenza degli immigrati, il cielo delle città, l’acqua dei fiumi, i bilanci delle aziende e delle associazioni di volontariato.
Assemblea legislativa con tante competenze primarie, il Consiglio provinciale è di fatto un parlamentino in cui si deve legiferare, talvolta prima e oltre quanto si decide a Roma. Non è giustificata dunque l’indifferenza scettica o menefreghista di chi non risponde al diritto-dovere di andare alle urne, così come preoccupa la tiepidezza di una larga opinione pubblica trentina che si è chiamata fuori da questa campagna elettorale.
Ne è risultato un confronto fiacco – forse anche per la partenza ritardata dei concorrenti – che sembra appena cominciato, più sui giornali che nelle piazze, mentre già deve terminare. Restano queste ultime giornate di vigilia per un convinto discernimento, sulla base di incontri diretti e una documentazione sui programmi che Vita Trentina offre in queste pagine.
Paolo VI, proclamato santo domenica, aveva ricordato ai suoi giovani della FUCI, la Federazione degli Universitari cattolici, che “la politica è la forma più alta ed esigente della carità” e in un documento nel lontano 1971 scriveva che “il potere politico deve sapersi disimpegnare dagli interessi particolari per considerare attentamente la propria responsabilità nei riguardi del bene di tutti, superando anche i limiti nazionali. Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli – locale, regionale, nazionale e mondiale – significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità”. Nonostante tutto, dovremo portarci domenica alle urne questa consapevolezza: che la nostra scelta “pesa” e quindi ci obbliga a immaginare una prospettiva forte per il Trentino di domani. Non solo per noi che vi siamo nati, ma per tutti quanti ci vengono per lavorare o studiare; non solo per le città, ma anche per una periferia a rischio di ripiegamento; non solo per chi gode del benessere e dei servizi, ma soprattutto per chi ancora è debole e stenta a tenere il passo. E sono in molti, soprattutto famiglie fragili, come indica l’osservatorio della Caritas.
Dietro agli slogan, inevitabilmente sintetici se non retorici, si coglie un’idea del Trentino nei programmi di ognuna delle 22 liste (che frammentazione eccessiva, dovuta a personalismi all’insegna del “o con me o contro di me”!) che una lettura non superficiale mette in luce.
Per la maggioranza, ma anche per le opposizioni (difficilmente scatterà il premio di maggioranza previsto per chi va sopra il 40 per cento), sarà questa visione della coesione sociale, della convivenza e dell’autonomia a guidare le mosse della prossima legislatura, in una prospettiva che deve essere regionale ma anche europea e planetaria: si pensi solo ai temi della salvaguardia del Creato o della cooperazione internazionale.
Il criterio etico del bene comune ha trovato nei mesi scorsi convergenza nell’elaborazione condivisa della bozza del terzo statuto (un documento fresco, ma trascurato in campagna elettorale) che potrà invece servire da “magna charta” per i prossimi mesi, con la necessaria convergenza con Bolzano e con i necessari distinguo da Roma, previsti dalla Costituzione.
Ma il bene comune in una visione cristiana esige anche quella “scelta preferenziale dei poveri” che Papa Francesco, guardando alla politica dalla parte del popolo, non si stanca di ripetere. A proposito, mons. Oscar Arnulfo Romero, pure proclamato santo domenica, pronunciò queste parole pochi minuti prima di essere assassinato: “Prendiamo sul serio la causa dei poveri, come se fosse la nostra stessa causa, o ancor più, come in effetti poi è, la causa stessa di Gesù Cristo”.
Diego Andreatta
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