Lo scorso anno abbiamo avuto in Italia 183 mila decessi in più delle nascite. Ci era andata peggio soltanto in piena guerra nel 1917 (225 mila) e nel 1918, quando s'aggiunse la terribile epidemia di “spagnola” con 648 mila morti in più.
Più ancora del cronico debito pubblico dovrebbe scuotere la campagna elettorale questo fresco dato del Rapporto Istat 2017: è un deficit di risorse umane che si presenta come strutturale. Ma non incontrovertibile.
Le forze politiche sembrano essersi invece rassegnate a questa tendenza che per il terzo anno consecutivo ha visto calare di 100 mila unità i residenti nel Bel Paese. Qualche buon proposito, in cerca di voti. Gli stessi candidati ne parlano poco, come si trattasse di un generico tabù, impossibile da infrangere. E se ne occupano ancora meno, come se non volessero udire gli SOS che arrivano dagli esperti, ma anche dalle famiglie. Tre richiami in tre giorni.
Lunedì scorso sono venuti pochi politici alla Facoltà di economia a seguire l'allarmata relazione di uno dei più quotati demografi italiani, il prof. Gian Carlo Blangiardo: “L'inesorabile invecchiamento demografico – ha documentato – ci costringerà ad affrontare un forte disequilibrio nel welfare (pensioni e sanità), non ci garantirà forza lavoro sufficiente a garantire la qualità di vita”. Commentava il suo Rapporto sulla crisi demografica voluto dalla Fondazione per la Sussidarietà: “Il saldo nascite e morti – ha avvertito – è di meno 200 mila quest’anno, se continueremo così tra meno di 30 anni saremo a meno 400 mila e nel 2060 avremo due milioni e mezzo di persone con più di 90 anni, in un Paese di 60 milioni di abitanti”.
E sbaglia chi pensa che gli arrivi degli immigrati (è pure in contrazione il numero delle nascite straniere) possa risollevare un'Italia che è il più vecchio Paese d'Europa.
Sabato scorso è salito a Trento con i suoi sandali francescani anche il leader del Forum delle Famiglie, Gigi De Palo (vedi pag. 5). Ai politici che hanno lodato a parole il Patto per Natalità, egli continua a ripetere “Se non ci sono bambini, è inutile promettere nuovi asili nido. Se si bloccano le nascite, che serve non far pagare le tasse all’Università? Non ci saranno più studenti…” come dire che spesso si litiga fra partiti, senza mettersi d’accordo sull’unico punto che dovrebbe godere di un sostegno trasversale, non solo sulla carta: ridare vita ad un Paese che rischia di morire.
Domenica pomeriggio quest'appello lo abbiamo risentito a Povo, nell'inedito confronto voluto da un gruppo di famiglie. Ai candidati hanno chiesto fra l'altro “come garantire un futuro ai giovani, ai nostri figli e nostri nipoti, che oggi faticano a trovare lavoro e domani saranno senza pensione?”.
Sulle misure per lottare contro l'inverno demografico ci si potrà trovare anche in disaccordo, ma l'urgenza di affrontare questa stagione triste dovrebbe stagliarsi sull'orizzonte prossimo del 4 marzo. E' un rigore che vorremmo sentire poi nell'aula del nuovo Parlamento, spazzare via attendismi, veti incrociati e politiche parziali, che incidono sui sintomi ma non sul virus. Che – lo sappiamo – è anche culturale e non solo economico.
Ma proprio perchè le leggi fanno cultura – come i decreti e le tariffe e le buone pratiche – è decisivo che i nostri rappresentanti tengano conto del Patto per la natalità. Vale anche per il Trentino dove il decremento demografico si è accentuato – rispetto ai dati del 2002 abbiamo 500 nati in meno e 800 morti in più – a conferma che anche un territorio ufficialmente “amico della famiglia” non può dormire suglli allori. Meriterà riparlarne anche nella campagna elettorale d'autunno.
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