Sebbene tutti i partiti ostentino pubblicamente la massima fiducia nel proprio successo, in realtà sono in preda all’incubo di elezioni che nessuno sa bene che risultati daranno. La questione non è semplicemente quella dell’annunciato “tripolarismo” che potrebbe non darci alcuna maggioranza in grado di formare un governo (anzi per molti è già sicuro che sarà così). Il problema altrettanto spinoso è che non si sa come gestire la distribuzione delle candidature in presenza di un sistema bislacco che non si è capito bene come funzionerà nella pratica.
Soprattutto non lo hanno capito gli elettori. A meno di 50 giorni dall’apertura delle urne possiamo testimoniare di un certo numero di persone che ci fermano nelle più diverse circostanze per chiedere spiegazioni su come funzionerà il meccanismo e che se ne vanno poi scuotendo la testa. Per carità sono numeri irrisori e non possono essere considerati un campione statistico, ma qualcosa vorrà pur dire.
Soprattutto l’equilibrio fra candidature nell’uninominale e candidature nel proporzionale è un rebus, per motivi diversi un po’ per tutti, anche se vale soprattutto per le coalizioni. Tuttavia per esempio i Cinque Stelle sono alle prese col tema di presentare nell’uninominale personalità di qualche visibilità e competenza, come il leader Di Maio si è impegnato a fare. Ciò significa però scontentare i militanti, soprattutto quegli ingenui che hanno creduto al famoso “uno vale uno”, ma anche dover rispettare il vincolo che hanno stabilito che prevede la candidabilità solo nel luogo di effettiva residenza. Intendiamoci, la norma è sacrosanta, e la prassi dei partiti di spargere i loro candidati qua e là senza alcun rispetto della rappresentanza territoriale non è un esempio di serietà democratica, ma per i pentastellati potrebbero esserci problemi con potenziali candidati di visibilità nazionale, dunque presentabili quasi ovunque, ed eccesso di “residenza” di questi candidati in un piccolo numero di collegi, il che ne lascerebbe scoperti altri.
Sono però le alchimie fra i componenti delle coalizioni che sono le più difficili da bilanciare. Dividersi il numero dei collegi in rapporto alla rispettiva forza che i sondaggi elettorali attribuiscono a ciascuno è una soluzione facile sulla carta, non fosse che nella pratica c’è una bella differenza fra collegi in cui si può essere ragionevolmente sicuri di vincere, altri in cui si è in bilico, altri in cui si è ragionevolmente sicuri di venir battuti. Teniamo conto che non è solo questione di un bilanciamento finale nel numero dei parlamentari che spettano ad ogni membro di una coalizione. C’è anche il problema, niente affatto secondario, della “figuraccia” (mettiamola così) che tocca ad un candidato di un qualche prestigio che venisse più o meno ignomignosamente sconfitto nell’uninominale. Teniamo anche presente che poi per molti rappresentanti dei partiti minori di una coalizione il successo nell’uninominale è l’unica via per avere un ruolo parlamentare, perché, essendo molto probabile il loro rimanere sotto la quota di sbarramento, non avranno rappresentanti nella quota proporzionale.
Anche se non sembrano rendersene del tutto conto, il mancato successo dei personaggi di peso delle liste minori sarebbe un danno anche per i partiti maggiori di ogni coalizione, che si vedrebbero depotenziati sia di un certo tasso di pluralismo (che di questi tempi non fa mai male) sia dell’apporto parlamentare di personale di una certa qualità, cosa anche questo elemento di cui c’è piuttosto bisogno.
Il problema affligge per certi aspetti maggiormente il centrosinistra, dove la presenza di un solo grande partito, il PD, complica tutto, ma non è che il centrodestra possa ritenersi al riparo da questo punto di vista. Infatti quell’alleanza ha una quota non piccola di professionisti della politica spesso di modesto livello e in quel prevedibile Vietnam parlamentare che saranno le future Camere non sarà ininfluente disporre di truppe di qualità.
I partiti parzialmente se ne rendono conto, ma siccome non sanno come venirne fuori fanno spallucce e si orientano a trovare soluzioni a vista, soprattutto tenendo conto che il tempo è pochissimo: entro il 29 gennaio vanno presentate le liste, dunque il tempo per le verifiche e per i negoziati è più che scarso.
E’ vero che alla fine tutti si sono illusi che tanto a decidere saranno i duelli e la propaganda in TV e sui social media. Forse saremo smentiti, ma se dovessimo dirla tutta non ci crediamo. E soprattutto siamo sicuri che in quel caso saremmo in presenza di un brutto capitolo della storia di questo paese.
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