Tutti compulsano i sondaggi e si danno da fare per cavalcare qualsiasi tema ritengano capace di solleticare la pancia del loro elettorato
Non sembra che in questo momento la politica italiana si ponga un gran problema circa i contenuti dei propri programmi, ovvero delle proposte che deve presentare al paese per raccoglierne il consenso. E’ vero che siamo ad un passo dal dibattito sulla legge finanziaria, ma il panorama non è dei più incoraggianti: al momento i partiti propongono qualche slogan ideologico o giù di lì e il governo si affanna a far sapere che il sentiero è stretto per dire che non ci sono risorse per accontentare il bisogno dei vari partiti di piantare le loro bandierine.
Varie leggi sono sospese per aria a metà strada, come emblematicamente sta succedendo con quella del cosiddetto ius soli. La realtà è che sono provvedimenti fatti più con l’occhio a lanciare messaggi ai propri sostenitori e a volte a qualche lobby che non con la necessaria attenzione alle tecnicalità necessarie. Lo si è visto per la legge infine approvata sulla confisca preventiva dei beni ai mafiosi, dove si sono allargati i provvedimenti ai sospetti di corruzione e agli stalker, finendo nell’inevitabile critica di tutti coloro che sanno che il diritto è una cosa seria e non un vocabolarietto per fare proclami giustizialisti. Il discorso potrebbe applicarsi al disegno di legge sullo ius soli dove, per segnare un punto a favore dell’integrazione necessaria dei migranti, si è fatto ricorso ad argomenti che si sa benissimo che sono scarsamente fondati. Nessuna persona che sappia come funziona il nostro sistema scolastico per esempio può credere che cinque anni di frequenza siano meccanismi per integrare nel nostro sistema: non diremo i migranti, ma neppure gli italiani. Si pensi solo alla sostanziale abolizione della educazione civica dai nostri curricula scolastici (per la cronaca: la introdusse Moro alla vigilia degli anni Sessanta).
Il discorso potrebbe riproporsi per la legge sulla revisione dei vitalizi ai parlamentari, anche quella sacrosanta da molti punti di vista, ma scritta male e destinata a non vedere la luce.
Bene, in questo quadro non proprio esaltante, di cosa discutono le forze politiche? Di legge elettorale (e ne abbiamo già scritto), ma soprattutto di leader e di coalizioni.
Il primo versante coinvolge tutti, inclusi i Cinque Stelle che tanto per non essere fuori del gioco a cui partecipano tutti si sono affrettati ad essere i primi che eleggevano, si fa per dire, un proprio leader: termine appropriato perché non si trattava solo di un candidato premier, ma contemporaneamente del capo del partito. Comunque sia, loro ci sono riusciti, perché programmaticamente rifiutano di coalizzarsi con altri, mentre sia il centrosinistra che il centrodestra sono contemporaneamente impantanati nella questione della coalizione e in quella della scelta del suo leader.
Il centrosinistra è ormai ridotto ad un composto impazzito di correnti, dove sembra che l’unico interesse sia quello di far del male ai possibili alleati. Del tentativo di far fuori Renzi ad ogni costo abbiamo scritto più volte. Tocca ora verificare che in parallelo non si vede sorgere alcun leader alternativo. Pisapia, di cui tutti parlano bene, ma a cui ben pochi sono disposti ad affidare il bastone del comando, si contraddice in continuazione e non sembra in grado di imporsi ai suoi vari interlocutori. Questi del resto non hanno la forza di sostituirsi a lui, per cui è tutto un fare e disfare che dubitiamo porterà gran frutto in termine di aggregazione.
Non che al centrodestra vada molto meglio. Il duello per la leadership fra Berlusconi e Salvini non accenna a risolversi, nonostante periodici annunci di tregua subito smentiti dai fatti, con la Meloni che sorniona sta a vedere (non fosse mai che alla fine dovranno ripiegare su di lei…). Tutti compulsano i sondaggi e si danno da fare per cavalcare qualsiasi tema ritengano capace di solleticare la pancia del loro elettorato.
In questo clima le forze che cercano di avere influenza sull’opinione pubblica si preoccupano di costruire figure alternative da proporre per la leadership del paese. C’è chi spinge per un accreditamento di Gentiloni come futuro premier di garanzia, chi vagheggia la possibilità di governi tecnici del presidente in caso di risultato ingestibile dopo le prossime elezioni (e nel toto nomine la macchina infernale sputa nomi a ruota libera: da Monti ad Amato), chi prospetta il ritorno in campo di qualche vecchia gloria (ultimamente si parla per esempio di Rutelli).
Sono giochetti pericolosi. Si deve sperare che tutti, o almeno la maggioranza se ne accorgano in tempo.
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