Compulsione a correre alle urne?

Ormai sembra scontato che si vada al voto in autunno, nonostante le molte perplessità che su questa accelerazione si registrano nelle classi dirigenti e nonostante vari problemi tecnici che magari non sono immediatamente percepiti. Per esempio: se dopo le elezioni non si riuscisse a fare in tempo un governo capace di varare subito una legge di stabilità, a gennaio scatterebbero in automatico le clausole di salvaguardia che innalzano l’IVA al 25%.

Il fatto è che i partiti non sono più in grado di reggere il logoramento di una campagna elettorale permanente, per cui tutti, eccetto ovviamente i vari cespugli, vorrebbero vedere le carte, cioè sapere su quanto consenso possano contare. Non è certo che il sistema proporzionale che si sta immaginando, una scopiazzatura superficiale di quello vigente in Germania in un contesto costituzionale e sociale assai diverso, porti davvero ad una misurazione realistica dei vari pesi politici. C’è da fare i conti con l’astensionismo che potrebbe ulteriormente impennarsi per il combinarsi del periodo poco felice scelto per piazzare le urne (se fosse addirittura fine settembre si voterebbe con la gente che ha ancora la testa nelle vacanze) con il disamore per un sistema complicato e le cui ragioni non sono chiare a molta parte dell’elettorato.

Tuttavia i partiti hanno deciso di correre tutti i rischi perché percepiscono, al di là di quanto dichiarano in pubblico, che l’opinione pubblica si sta disamorando del loro modo di agire. Per consolarsi ciascuno pensa che si asterranno alla fine i tiepidi, mentre rimarranno mobilitate le truppe di pasdaran e clienti che ciascun partito può vantare, sicché si potranno confermare più o meno le percentuali che risultano dai sondaggi che già registrano solo il parere di quelli che si schierano. Con queste quote sembrerebbe impossibile formare una qualsiasi maggioranza, ma ancora una volta gli strateghi dei partiti pensano che poi, al momento di sedere in parlamento, ci saranno sommovimenti nelle varie formazioni e magari quella diecina o ventina di voti che oggi sulla carta mancano a ciascuna delle varie coalizioni ipotizzabili si raccatteranno. In fondo, senza scomodare i soliti Razzi e Scilipoti, si può ricordare che per esempio Tremonti fu eletto col patto Segni ma passò armi e bagagli a Berlusconi.

C’è da notare un elemento che ad oggi è un’incognita: cosa succederà di quell’area, stimata circa nel 10% dell’elettorato, che oggi si frantuma nei cosiddetti cespugli che non è previsto superino la soglia di sbarramento del 5% (ma, secondo alcuni calcoli, nella maggior parte dei casi neppure quella del 3%)? Si può ipotizzare che semplicemente restino fuori, ma, nel contesto attuale, non ci pare probabile. Da un lato sarà possibile che si coalizzino fra loro in modo da superare la soglia, dall’altro che si facciano accogliere nelle liste dei partiti maggiori sempre interessati a rafforzarsi. Nell’uno come nell’altro caso però metterebbero del proprio personale in parlamento e di quel tipo che perde il pelo, ma non il vizio: cioè si tratterebbe di forze irrequiete e mobili in una geografia parlamentare già molto complicata. Questo anche a prescindere dal problema, tutt’altro che teorico, di regolamenti parlamentari che danno l’occasione poi di ricomporre gruppetti parlamentari (in teoria ci vorrebbero almeno 20 membri, ma poi si fanno sempre deroghe, perché la frammentazione fa comodo a molti).

Non sono certo tematiche ignote ai vari strateghi dei partiti, che però in questo momento preferiscono lasciar perdere perché l’ordine di scuderia è accelerare l’accesso al voto. Il governo è debole per resistere a questo assedio e lo stesso Presidente della Repubblica ha strumenti di intervento limitati. Gentiloni è un buon primo ministro, nel suo esecutivo ci sono personalità più che apprezzabili, ma non si può dire che tutto il Gabinetto sia all’altezza delle sfide che abbiamo davanti. Soprattutto non si può contare su un senso di responsabilità generale: basta guardare alla battaglia cervellotica che Mdp ha avviato sul tema di qualche norma per governare il lavoro saltuario (si stima che si tocchi lo 0,2% del comparto del lavoro!) solo per inseguire i deliri del vertice CGIL (che si spinge a parlare di attacco alla democrazia!) per avere un esempio del quadro in cui ci stiamo muovendo.

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