La fresca lettera apostolica di Papa Francesco dal titolo Misericordia et misera è un pugno nello stomaco per tutti i benpensanti, per quanti ritengono di potersi definire credenti a prescindere, o pensano di essere tali perché tali risultano all’anagrafe o sono soliti frequentare i riti religiosi.
La lettera ha il pregio di riportare all’essenza dell’evangelo, che è sì buona notizia, a condizione però che ne facciamo una lettura incarnata, vale a dire capace anche oggi di suscitare speranza e liberazione.
Credo che Papa Francesco possa offrirci la stimolante riflessione che ci ha regalato al termine dell’Anno Santo della Misericordia, perché prima l’ha fatta precedere da gesti e scelte più eloquenti delle parole. Sarebbero molte quelle da ricordare: non poche apparentemente all’insegna dell’improvvisazione, in realtà scaturite da un cuore che sa riflettere e interrogarsi sulla vita, dei poveri in particolare, alla luce della vita di Gesù di Nazareth, cosa nella quale tanti di noi difettano.
L’invito che ci rivolge Papa Francesco a lasciarci interrogare dalla vita concreta delle persone povere, emarginate, dai peccatori – e lo siamo tutti – per ritrovare la strada dell’incontro, della relazione che sana e ridona fiducia, è pressante e ripetuto quasi come un mantra, segno che gli assegna grande importanza. La misericordia, ci ricorda, non può essere un atteggiamento estemporaneo, di qualche momento, di qualche occasione, ma una modalità permanente del nostro essere discepoli di Gesù, perché la misericordia è il cuore stesso di Dio. Il Papa riconosce che durante questo Anno Santo sono stati realizzati tanti segni concreti di misericordia, eppure – lanciando anche la Giornata mondiale per i poveri – ci avverte che non possiamo accontentarci, che dobbiamo essere vigili perché il mondo continua a generare nuove povertà materiali e spirituali alle quali dobbiamo saper rispondere. Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, ci avverte il Papa, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri. In un momento nel quale sembrano prevalere gli egoismi personali e di gruppo, questa sottolineatura va decisamente controcorrente. E perché a nessuno sia consentito chiamarsi fuori, adducendo la scusa che tocca magari ad altri operare – la politica, le istituzioni o quanti detengono un qualche potere – Papa Francesco afferma che le opere di misericordia sono “artigianali”. Quasi a sottolineare che sono alla portata di tutti, anche se richiedono un impegno concreto nel segno della libertà; libertà per il vero, il bello, il buono. Tra i tanti segni concreti di misericordia ne vorrei ricordare tre che mi appaiono sintomatici di un capovolgimento sovversivo di una certa visione largamente diffusa. Mi riferisco all’incontro di Bergoglio con i rappresentanti dei movimenti popolari, quello con i carcerati e quello con i senza dimora. Tutti e tre segni eloquenti, a mio parere, di una modalità di approccio del tutto nuova, anche se antica. È infatti la stessa del Gesù storico che non ha esitato a confondersi fra gente di cattiva reputazione, banchettando con loro. Non è pertanto da sorprendersi se l’agire e il dire di Papa Francesco suscita pure contrasti e contrapposizioni da parte di quanti gridano: ma così non c’è più religione! Abbiamo un Papa che crede al Vangelo e questo può anche suscitare paura e sgomento.
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