In un panorama politico che sembra imbalsamato fra la querelle interna al centrodestra sul ruolo che deve assumere Stefano Parisi nel ridisegnare la centralità dei “moderati” e la questione dei rifiuti a Roma che sembra mettere a nudo la debolezza della sindaca 5 Stelle, non ha trovato grande eco il tema della riforma del sistema di informazione interno alla Rai.
Per la verità del grande piano di ristrutturazione del comparto informativo, piano la cui elaborazione è stata affidata a Carlo Verdelli, si sono un po’ perse le tracce, mentre è subito balzata alla ribalta la questione delle direzioni dei TG delle tre reti. Dopo decenni in cui si è continuato a chiedere che la politica uscisse dal governo della Rai si è visto, una volta di più, che la politica italiana a quel “vizietto” non ha alcuna intenzione di rinunciare.
Naturalmente tutto viene presentato come grande battaglia per il pluralismo e per impedire che il governo (nella fattispecie Renzi) si impadronisca di tutta l’informazione. In realtà, se si scava appena un po’ sotto la superficie si coglie subito tutto il fariseismo di questa operazione.
Di cosa si sta discutendo infatti? Dell’ipotesi che l’attuale vertice Rai per compiacere Renzi voglia affidare tutti e tre i telegiornali a direttori schierati per il sì al referendum costituzionale. Subito la commissione parlamentare di vigilanza, che continua ad essere un inutile organo di commissariamento politico più che una istanza di garanzia del servizio pubblico, entra in campo e cerca di far scintille.
Per mettere la situazione nei giusti termini bisognerebbe però partire da qualche banale dato a cui sembra non pensi più nessuno. Il primo è che porre la questione di un direttore di testata partendo dalle sue opinioni in merito al referendum costituzionale è semplicemente stupido. E’ pacifico infatti che sia impossibile trovare una persona con i titoli per occupare una posizione così delicata che non abbia una sua opinione su un argomento importante come è quello della riforma costituzionale. Si risponderà: ovvio, ma proprio per questo dobbiamo avere direttori che abbiano diverse opinioni su questo tema. Ma la stupidità della faccenda sta proprio qui, nel voler lottizzare le opinioni, anziché chiedere che nel gestire un servizio pubblico il direttore debba dare spazio a tutte le opinioni ragionevoli a prescindere dalle sue inclinazioni personali.
L’idea che un TG sia quello che guardano coloro che vogliono votare “sì” e una altro TG sia destinato a quelli che vogliono votare “no” non è pluralismo, ma feudalizzazione degli ambiti. Una TV pubblica che si organizzi per parrocchie di sostenitori di questa o quella fede è un disastro, o, più chiaramente, è la continuazione di quel disastro che è stata per decenni la Rai.
Aggiungiamo un elemento. Se la direzione della Rai non può in autonomia scegliere i direttori delle sue testate, così come fa qualsiasi editore, che direzione è? Non si cada nel banale tranello di chi dice: ma allora a scegliere e comandare è il governo, per la semplice ragione che qualcuno che sceglie e decide ci deve pur essere. Che sia il governo, il parlamento o chi altri, sarà sempre inevitabilmente la decisione di “una” istanza: ciò che deve dare garanzie è che il decisore, chiunque sia, risponda delle sue scelte.
Perché ciò sia possibile bisogna evidentemente che ci sia un criterio sulla cui base si possano valutare e questo è proprio quello che in Italia non si riesce ad ottenere. In astratto dovrebbe essere facile: essendo servizio pubblico, il compito della Rai è quello di servire la domanda dei cittadini di informazione e di formazione. Essendo però una impresa come si usa dire “generalista” ed avendo interessi commerciali assai forti (la pubblicità) essa tende a sfuggire a questa funzione sopraffatta dal criterio della “audience”, da cui dipende la sua forza sul mercato, ma al tempo stesso quella dei suoi uomini. Lo si è visto piuttosto chiaramente nella questione dei compensi.
La politica italiana, oggi in tutt’altre faccende affaccendata, è piuttosto distratta su questo tema che per lei è molto scivoloso e ne lascia la gestione alle sue seconde fila specializzate nel settore. Ma non è affatto una buona scelta.
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