La preoccupazione non è solo che la nostra isola autonomista possa trasformarsi nella “nuova Lampedusa” o che i turisti del Nord abbandonino per sempre il Gardasee. Dopo la determinazione austriaca ad alzare antistoriche barriere al Brennero c'è in ballo, purtroppo, molto di più: la negazione di un'idea d'Europa, casa comune consolidata col Trattato di Schengen e poi di Amsterdam, oggi minata invece alle fondamenta da singoli inquilini (vedi Vienna) che pretendono di rifugiarsi nel proprio orto protetto da nuovi steccati.
Al “sussulto immediato” per iniziative nei luoghi competenti richiesto anche dal presidente del Consiglio Provinciale, Bruno Dorigatti (vedi pag.6) dovrà accompagnarsi una reazione dell'opinione pubblica. A ribadire che l'Europa deve rispondere all'emergenza profughi puntando sul rispetto della dignità delle persona che innerva la sua storica identità solidale.
Nelle stesse ore in cui a Vienna si faceva il pugno duro, nell'abbazia austriaca di Heiligenkreuz s'incontravano vescovi della Chiesa cattolica di venti Paesi europei e del Vicino Medio Oriente per confrontarsi sulla crisi dei rifugiati. “Solo in un ambiente di ascolto rispettoso e dialogo aperto di scambio l’uno con l’altro – ha scandito il vescovo di Eisenstadt, mons. Giles Zsifkovics – riusciremo a bloccare lo sviluppo della crisi con uno stile di umanità cristiana nei Paesi d’origine dei rifugiati, in quelli di transito e in quelli riceventi”.
Con questo spirito merita che il nostro Trentino non si faccia trovare impreparato e continui a studiare e programmare gli interventi, anche di lungo periodo. Il sistema misto pubblico-privato allestito per la “prima accoglienza” continua a offrire buone prove (ci basta come conferma il sorriso riconoscente sui volti sofferti degli ultimi profughi finalmente a riposo su un letto nelle ex caserme di via al Desert, ribattezzate “Residenza Fersina” a Trento).
Eppure siamo invitati a guardare al “dopo”, a programmare la “seconda accoglienza” al fine di evitare che questi ragazzi sbarcati dall'Africa o dall'Oriente si ritrovino dopo qualche mese di sollievo o di sosta nuovamente in balia di un futuro ignoto.
Varie realtà di volontariato e privato sociale hanno invitato il nostro settimanale (vedi pag. 18) a suggerire un Tavolo di confronto fra quanti stanno immaginando percorsi per dare a chi ha ottenuto permesso di soggiorno e protezione qualche chanche concreta di permanenza in Trentino. Essa passa da forme di apprendistato e promesse di lavoro che portino prima o poi ad un reddito tale da poter affrontare l'altro problema vitale, quello abitativo. I tentativi virtuosi (vedi Comunità Solidale, Centro Astalli, ecc…) indicano la strada più efficace nell'accompagnamento personalizzato, a piccoli gruppi, dentro un'“accoglienza diffusa” che veda attorno al profugo l'impegno congiunto degli amministratori locali, degli esperti del privato sociale e dei volontari. Tutti convinti che le prime barriere, oltre a quelle paventate al Brennero, sono erette da coloro che egoisticamente ritengono quest'impegno sproporzionato e inutile.
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