Tra rinnovati allarmi e grandi attese, mercoledì pomeriggio il Papa è atterrato a Nairobi. È la prima volta che Francesco mette piede in Africa. Lo fa per visitare tre Paesi diversi per i loro problemi, ma ugualmente importanti sullo scacchiere della Chiesa: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana.
Sono tre Paesi che attendono dal Papa una conferma dell’evangelizzazione in pieno sviluppo. Ma dal punto di vista socio politico questo viaggio, pur prescindendo dalla situazione creatasi in seguito ai recenti attacchi terroristici di Francia e in Mali, non è esagerato definirlo “coraggioso”. Fatta eccezione dell’Uganda, che è tuttavia parte della tormentata regione dei Grandi Laghi e segnata da grosse disparità sociali, in Kenya e in Repubblica Centrafricana Francesco troverà due situazioni politicamente e socialmente molto ingarbugliate. Vediamo perché.
Il Kenya è uno dei paesi africani più sviluppati, ma in questi ultimi anni è stato sottoposto a forti tensioni politiche in occasione delle elezioni nazionali. Esso è poi la base di gruppi islamici radicali, gli Al-Shabaab, che dal Kenya attaccano le truppe di peacekeeping dell’Unione Africana in Somalia. Questi stessi gruppi il giovedì santo di quest’anno hanno massacrato 148 studenti cristiani nel campus di Garissa.
Tuttavia la situazione politicamente e socialmente più complicata il Papa la troverà in Repubblica Centrafricana. Nella capitale Bangui, dove il Papa soggiornerà domenica 29 e lunedì 30 novembre, troverà una città apertamente in guerra. Il Paese da anni ormai è terra di conflitto tra due fazioni armate d’ispirazione rispettivamente cristiana e musulmana in lotta tra di loro, al servizio di capi politici avversari e oggi mantenuti da imprese estere impegnate nel business del legname e del petrolio e dei minerali, tra cui l’uranio, che più facilmente pescano nel torbido. Sono più di tre anni che la Repubblica Centrafricana è in guerra e non se ne vede la fine.
La visita del Papa presenta certamente dei rischi e molti hanno cercato di convincerlo a posticiparla, ma Francesco ha mantenuto fermi tutti i suoi appuntamenti. Anzi, anzi ha deciso di aprire la prima “porta santa” dell’Anno giubilare della Misericordia proprio a Bangui: un segno del suo pontificato contrassegnato dal Vangelo della misericordia.
Nel corso della recente visita negli Stati Uniti il Papa ha rischiato un incidente diplomatico, quando non solo si è rifiutato di usare la macchina blindata, ma si è opposto alle misure di sicurezza (Metal detector e perquisizioni) cui la polizia federale voleva sottoporre il suo seguito. Oggi, dopo gli avvenimenti di Parigi e di Bamako, il rischio è sicuramente più alto, ma ciò non gli ha fatto cambiare idea. Non è la sua presunzione, ma desiderio di compiere la sua missione di pace proprio in questo momento critico, perché si sente il padre che vuol riconciliare i propri figli in guerra e sostenere il coraggio dei poveri che pagano i costi di questa situazione.
Vuol anche dire al mondo e in particolare alle Chiese d’Africa la grande speranza che egli ripone in questo continente che vuol promuovere e difendere dagli speculatori.
Ma uno dei temi che egli certamente tratterà nei tre Paesi sarà quello dell’ecologia integrale che ha presentato nell’enciclica Laudato si’. Farà appello alla responsabilità di tutti in un continente, dove il degrado ambientale e sociale è altissimo e dove la cultura dello scarto e la dittatura del denaro e del profitto di certi gruppi anonimi è all’origine di una grande sofferenza e di un intollerabile sottosviluppo.
Gabriele Ferrari
missionario saveriano trentino
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