La lettura degli ultimi eventi come un tentativo di intrappolare il premier con una azione concentrica da destra e da sinistra è stata data dallo stesso Renzi che così ha interpretato gli eventi di Bologna, con il trio Salvini, Berlusconi, Meloni che inneggiava ad un centrodestra al 40%, e quelli relativi alla fondazione a Roma di «Sinistra Italiana», fusione fra i transfughi PD e quel che rimane di SEL.
Naturalmente il segretario premier ha proseguito spiegando che la manovra a tenaglia non lo ha intrappolato, ma che anzi è stata un fallimento. Dalla sua ha l’ennesima notizia favorevole sulla congiuntura economica che giunge da una lettura incrociata di analisi dell’OCSE e di dati dell’INPS sui progressi delle assunzioni. Ancor più può contare che i vari annunci di sfracelli per adesso non hanno funzionato. Tipico il caso di quelli sulla resistenza totale e diffusa che si doveva avere in autunno contro la riforma della scuola: per adesso l’anno scolastico procede come il solito (il che non vuol dire bene, ma solo che non ci sono novità), le assunzioni si stanno facendo e non ci sono barricate in vista. Arriveranno naturalmente le occupazioni, ma oramai quelle sono routine carnevalesche in cui di sicuro ci si nasconderà dietro i soliti slogan contro le riforme che vendono la scuola all’industria, senza che neppure questo rappresenti una novità.
Ciò non significa però che in assoluto Renzi possa dormire sonni tranquilli. La resa di Berlusconi a Salvini registra una trasformazione nella destra, dove ormai è sparito il «centro». La ragione è molto semplice: l’antico verbo ottimistico berlusconiano, l’invito ad impedire che i «comunisti» rovinino la nostra bella vita senza regole non fa più presa, perché non sono più gli anni delle vacche grasse. Negli anni della crisi economica ciò che fa premio sono la rabbia e la paura e quelle sono cifre che sa giocare bene solo Salvini. Intendiamoci: l’uomo è abile ed ha capito che non bisogna esagerare a sbandierare quei sentimenti, per cui li contorna di appelli ad un po’ di buoni sentimenti per quanto superficiali. Vedi il discorso sugli immigrati: impediamo loro di entrare in casa nostra, ma dobbiamo essere pronti ad andare ad aiutarli a casa loro (come sia possibile è un mistero, ma viene considerato un dettaglio di nessuna importanza).
Pensare che questi messaggi del neoleghismo alla Le Pen non facciano presa è ingenuo. Si può sperare di circoscrivere il perimetro di chi si fa irretire da essi, ma il veleno che mettono in circolo si espanderà e si salderà con quello degli altri avversari di Renzi.
La sfida che si apre a sinistra ha anch’essa i suoi rischi. Adesso la narrativa degli scissionisti è che Renzi ormai ha deciso che il PD non è più «di sinistra», il che viene benevolmente considerato «legittimo», ma allora deve essere possibile e giusto fondare in forma nuova un partito appunto di vera sinistra. Anche questo è un discorso velenoso, perché vorrebbe implicitamente che Renzi accettasse questa divisione di ruoli, autorizzando, se così si può dire, la coesistenza di due tronconi usciti dalla crisi del vecchio mondo del progressismo italiano.
Il fatto è che i transfughi rischiano di trovare in Renzi chi aderisce a quella prospettiva, perché il premier è timoroso di perdere il suo appeal verso i moderati se rivendicasse con giusto orgoglio il fatto che la sua prospettiva può tranquillamente essere considerata di sinistra, visto che nessuno ha ancora fondato il Santo Uffizio dell’ortodossia per quella collocazione.
In fondo la destra vorrebbe esattamente che il premier sotto la pressione dei suoi contestatori di sinistra pronunciasse il suo auto da fé in quella direzione. A questo punto Salvini potrebbe suonare la vecchia tromba che chiama a raccolta tutto il conservatorismo italiano, sia pure sotto i vessilli riverniciati della sua Lega.
Così il problema di Renzi diventa quello di gestire il prossimo passaggio delle amministrative senza sbilanciarsi né in una direzione né nell’altra, per tenere insieme quella vasta alleanza elettorale senza la quale non potrebbe portare avanti la sua politica. Ma farlo con elezioni amministrative che si misurano con contesti diversi, con sensibilità diverse, con candidati-protagonisti diversi da città a città, è un’impresa titanica. Soprattutto se continuerà a credere di poter far tutto da solo, al massimo col suo cerchio magico.
Ormai davvero o Renzi lavora a costruirsi una officina di elaborazione progettuale ricca di persone che producano la stabilizzazione del consenso o rischia di essere costretto ad un risiko politico dagli esiti incerti.
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