Sono 361.211 i cittadini chiamati alle urne per il rinnovo dei consigli comunali, in provincia di Trento il prossimo 10 maggio. Di questi 185.313 sono femmine, 175.898 maschi. Si voterà in 142 municipalità. Le consultazioni sono rinviate in 55 Comuni impegnati in operazioni di “fusione”, precedute da un confronto referendario a data da destinarsi. In caso positivo da 55 enti locali minori si passerà a 19. Entro la fine di questa settimana l'Ufficio Elettorale regionale prevede la consegna da parte dei comuni interessati di simboli e liste dei candidati, depositati a livello comunale entro martedì 8 aprile. Per lo scranno di 40 consiglieri nel comune di Trento scenderanno in campo 450 candidati. I 5 aspiranti al ruolo di primo cittadino sono sostenuti da 12 formazioni. Rovereto conta su 4 concorrenti alla carica di sindaco mentre le liste depositate sono 15. Ne risultano formalizzate 373 a livello provinciale. La disponibilità di tante persone a mettersi in gioco per la gestione del bene comune è un dato indubbiamente positivo anche se inficiato dalla presenza di aggregazioni, le più varie e titolate, a sostegno di un candidato sindaco. La fase preparatoria è risultata in tal modo laboriosissima, calmieratrice di tendenze partitiche e di aspettative politico-economiche sotto lo scudo di un collettivo forte con individualità possibilmente di spessore a rappresentare il tessuto sociale. A condizionare queste elezioni intervengono tuttavia diversi fattori quali la crisi economica e il taglio della spesa pubblica che hanno prosciugato le casse della maggior parte dei comuni, l'antipolitica che si è già manifestata con l'astensione marcata dal voto, la riforma delle Comunità di valle che da esperienza a suffragio universale ripiegherà sui risultati elettorali degli enti minori e un generale contenimento, in assenza di coperture finanziarie, delle cosiddette promesse elettorali. S'impone in tutta la sua efficacia la frase fatta della fine, per tutti, del tempo delle “vacche grasse” che costringe ad agire, volenti o nolenti, spinti dal dovere-necessità con maggiore sobrietà nei comportamenti e nelle scelte sia pubbliche che private. In questa circostanza pure i trentini sono chiamati ad uscire dal loro guscio, a guardarsi intorno e a considerare che quasi la metà dei cittadini italiani in condizione di povertà assoluta, risiede nel Mezzogiorno: 2,3 milioni di persone, delle quali oltre un milione costituito da minori, sono poveri e una famiglia su 4 vive senza alcuna prospettiva e in condizione di disagio economico gravissimo. Il rinchiudersi nel proprio orticello e il non intervenire rispetto a questa situazione, ha una sola conseguenza: il progressivo e inesorabile allargamento della voragine sociale che si è prodotta nel Sud negli ultimi decenni ed il suo definitivo allontanarsi, non senza conseguenze anche per il più ricco nord e per l'autonomistico Trentino costretto a contrattare col Governo le proprie risorse finanziarie (ma fino a quando?), dal resto del Paese e dall'Europa. Da considerare inoltre l'emergenza profughi che ha provocato aria di fronda e di rifiuto in molte amministrazioni, dimentiche dei tempi passati di povertà e di emigrazione. Il vescovo Luigi Bressan nelle omelie del Triduo pasquale, parlando di accoglienza di stranieri e rifugiati, ha citato il dato di ben 53 “hospitia”, disseminati sul territorio trentino per ospitare viandanti, pellegrini, persone in necessità di un alloggio, già a partire dal 1200, quale testimonianza delle “vera tradizione cristiana”. Nella stessa circostanza ha evidenziato altri temi da affrontare, (perché no?), anche nei comizi elettorali, ma soprattutto dopo in sede operativa, quali terrorismo, ormai incontrollabile, denatalità che indica sfiducia e prospetta un futuro fragile minando la sostenibilità dei servizi sociali, anzianità, surriscaldamento della terra che interroga sulla sorte del governo del territorio e sulla qualità di vita, arbitrarietà di chi condiziona l'opinione pubblica, fanatismo, disoccupazione, specie giovanile, malaffare e non per ultima la corruzione che “spuzza” per usare l'epiteto bergogliano. Sono argomenti indicati dal vescovo come sfide di un mondo che cambia rapidamente e che offre varie proposte anche ecclesiali. L'impatto per i nuovi amministratori con queste dinamiche sociali è scontato. Quelli che stiamo vivendo sono infatti tempi della vita precaria, della sopravvivenza difficile, del lavoro introvabile, delle rinnovate forme di esclusione legate alla condizione di immigrato. La solidarietà resta comunque il principio di riferimento per la ricostruzione del tessuto politico, istituzionale e sociale, minati dalla crisi durissima che persiste ormai da oltre sei anni, più della legislatura che si sta concludendo.
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