In tutt’Europa la situazione economico-sociale stagnante gonfia l’astensionismo elettorale e dunque lascia molto spazio alle componenti più passionali e anche irrazionali della vita politica
Lo si voglia o meno, la situazione della politica italiana non è affatto stabile. Né il partito che al momento è perno della maggioranza di governo, cioè il PD, né i suoi numerosi sfidanti sono nelle condizioni di affrontare le incertezze di questo momento senza il condizionamento di guardarsi continuamente le spalle.
A dominare è peraltro più quella che, copiando un modo di dire francese, viene definita come la “politica politicante”, piuttosto che una situazione economica la quale, se non rivela impressionanti svolte, tuttavia non registra neppure peggioramenti significativi. Naturalmente nelle più o meno segrete stanze della politica si legge quanto sopra alla luce dei trend che sembrano affermarsi in tutt’Europa: la situazione economico-sociale stagnante gonfia l’astensionismo elettorale e dunque lascia molto spazio alle componenti più passionali e anche irrazionali della vita politica. Per questo tutti i colpi di mano sembrano possibili.
Se non tirasse quest’aria, sarebbe difficile capire per esempio quello che sta avvenendo all’interno del PD, dove sembra sempre più forte la tentazione da parte di un gruppo di antichi signori della politica della sinistra tradizionale di “colpire duro” (per usare l’espressione utilizzata da D’Alema verso l’attuale leadership). Cosa pensi di guadagnare questa componente da una sua eventuale vittoria nella lotta per la detronizzazione di Renzi non si è capito. Ci sembra difficile immaginare che dopo una simile operazione ci possa essere spazio per una conferma dei successi di consenso che Renzi aveva ottenuto e dunque si dovrebbe poter contare su una coalizione di forze che al momento non esistono, perché l’estrema sinistra non gode esattamente di un momento espansivo.
La maggior parte degli osservatori si è divertita a ricordare come siano incredibili le critiche di D’Alema all’attuale premier, visto che gli rimprovera più o meno quello che rimproverano a lui quando era al vertice del potere. A parte questa stranezza, peraltro poi la “minoranza interna” è piuttosto spaccata quanto a strategie politiche concrete: per una parte sembra effettivamente più la rivendicazione, anche comprensibile, di spazi di potere (che non è necessariamente un concetto negativo), per gli altri è prevalentemente una battaglia di retroguardia nella speranza che tornino quelli che credono fossero i bei tempi di una volta.
Resta il fatto che queste fibrillazioni costruiscono sotto i piedi del governo quello che è un tappeto di sabbie mobili. Alle prese con le difficoltà d’immagine che derivano dallo scandalo della corruzione denunciata dai magistrati al ministero delle infrastrutture, Renzi deve resistere, privato com’è, almeno per il momento, del ricorso allo spauracchio delle elezioni anticipate.
Ormai è d’obbligo attendere il test delle prossime regionali, che però non è chiaro quali elementi a favore del premier potrà portare. In nessuna delle regioni è in gioco un candidato che rappresenti davvero la “novità” del renzismo: l’unico terreno dove questo in astratto sarebbe possibile è la Liguria, non fosse che lì la candidata renziana non è esattamente quello che si potrebbe definire un fiore da esibire all’occhiello. Nelle altre realtà maggiori i candidati sono per lo più personaggi dei diversi establishment regionali, figure che non sono in grado di dare smalto al suo famoso “cambio di verso”.
Aggiungiamoci che quelle urne tutto possono fare tranne che sciogliere il vero nodo con cui deve misurarsi il premier, cioè dimostrare di essere alla testa di una coalizione. Scelta Civica è perenta e nessuno la risusciterà, mentre l’NCD rischia di veder misurata la sua minorità politica in termini di consensi. Anche a prescindere dalle fibrillazioni che scuotono quel partito, non sarà facile trovare la soluzione per quel rimpasto limitato che è inevitabile dopo le dimissioni di Lupi.
Renzi può scommettere solo su un effetto psicologico che potrebbe esserci nel caso di una riuscita non felice dei suoi tre principali antagonisti: M5S, Salvini e FI. Se i primi due finissero con le ali tarpate nelle loro aspettative di successo e se FI confermasse la debacle che pronosticano i sondaggi, il premier potrebbe proclamarsi, a prescindere dai risultati regionali del PD che pensa non saranno catastrofici, l’unica forza su cui può contare il paese in termini di governabilità.
La scommessa non manca di azzardo e come sempre in questi casi se è azzeccata darà grandi frutti almeno al momento; se fosse sbagliata c’è da temere il peggio.
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