Le difficoltà al governo verranno dalla non semplice gestione del passaggio delle riforme che vanno coordinate con le difficoltà di bilancio
Non saranno i sindacati ad innescare un autunno caldo come minaccia Susanna Camusso: qui ha ragione Renzi a non dar peso a questa pistola scarica in tempi di crisi economica. Le difficoltà al governo verranno dalla non semplice gestione del passaggio delle riforme che vanno coordinate con le difficoltà di bilancio.
Il premier prova a predisporre una strategia difensiva ricompattando il suo partito con un ramoscello d’ulivo offerto alle sue opposizioni interne in materia di elezioni regionali. Il clamoroso sostegno offerto alla ricandidatura del governatore uscente della Toscana, Rossi, suo critico ed avversario nel PD, è un chiaro indice di questa nuova strategia che si completa con il disperato tentativo in Emilia Romagna di non scontentare il duo Bersani-Errani nella successione al vertice regionale, anche a costo di non avere da parte loro un nome di peso da mettere in campo. Anche per quel che si dice stia avvenendo nelle altre regioni che marciano verso la prova elettorale, la partita è di quelle classiche fra correnti e potentati della nomenclatura PD.
Se si pensa che le regioni acquisiranno potere con il nuovo Senato (oltre a perderne con la riforma del titolo V della costituzione), quella in atto non pare una strategia lungimirante: che Renzi lo voglia o no, se il trend continua ad essere questo, il suo nuovo partito diventerà ancor più una amalgama di correnti organizzate come fu nell’ultimo trentennio la vecchia DC (il che non è un paragone benaugurante).
Naturalmente il premier ha in questo momento in mente soprattutto la prossima battaglia parlamentare sulle sue proposte di riforma. Se non deve temere agguati dall’interno del PD è abbastanza tranquillo: FI ha capito che una politica di opposizione dura sarebbe presa come puro sfascismo contro gli interessi del paese (adesso lo dice persino Brunetta!), Grillo ha fatto prendere ai suoi una deriva senza meta, le opposizioni di estrema destra ed estrema sinistra marciano su vecchi slogan populisti ma difficilmente usciranno dalle loro riserve indiane. Certo potrebbe esserci qualche fibrillazione nella maggioranza, ma il nuovo Centro (Alfano e soci) non può andare oltre qualche richiesta di facciata e le altre componenti sono poco più che nomi senza contenuto.
Tuttavia questo equilibrio è piuttosto instabile. Innanzitutto non si sa quanto i mutamenti che le riforme comporteranno avranno l’effetto di spostare quote di consenso: limitare i poteri di spesa di un vasto numero di piccoli potentati, rivedere un po’ di privilegi della pubblica amministrazione, cambiare i quadri di riferimento con riforme come quella della giustizia, non è detto che non muoveranno le capacità di reazione di molte lobby. E siccome in questo paese ogni lobby ha la sua clientela anche abbastanza diffusa, non si sa come tutto questo sommovimento potrà giocare.
Poi c’è il mistero del rimpasto di governo. Ormai si dà per abbastanza per scontato che alla fine Renzi riesca a piazzare il ministro Mogherini a Bruxelles, ma questo vorrà dire aprire la questione del ricambio dei ministri. Potrebbe anche essere che alla fine il premier opti semplicemente per sostituire il ministro degli esteri e in questo caso la faccenda dovrebbe essere semplice. Ma se invece, come si vocifera nei corridoi, prendesse lo spunto per una revisione più ampia rischierebbe di avere da gestire un ginepraio. Oggi alcuni ministri rappresentano solo sé stessi e non sono neppure considerati di gran qualità, come la ministra Giannini, ma come potrà sostituirla nel momento in cui ha suonato la grancassa sulla riforma della scuola (peraltro, per quel che se ne sa ora, non particolarmente indovinata)? Come potrà evitare che nel nuovo clima di “pacificazione” delle correnti PD non gli venga chiesto di ampliare lo spazio riservato al suo partito che è attualmente sottorappresentato rispetto al suo peso parlamentare?
Sono, come si usa dire, “belle domande” a cui non sarà semplice dare una risposta. Se si avvererà la designazione della Mogherini come lady PESC certo Renzi guadagnerà qualche altro punto di credibilità e di prestigio, ma non ci sembra possa essere sufficiente per fargli superare senza problemi gli scogli dell’autunno delle riforme.
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