Non si vive di ricordi, e dunque il governo Renzi non può continuare a cullarsi nel revival del quasi 41% ottenuto dal PD alle elezioni europee. Quello è stato senza dubbio un viatico importante, ma adesso bisogna cominciare a percorrere la strada delle realizzazioni, cioè misurarsi con la difficoltà di trasformare gli impegni in misure concrete. Impresa tutt’altro che facile in cui il premier ha veramente pochi alleati.
La retorica ufficiale è che già i “gufi” abbiano conosciuto qualche sconfitta, ma in realtà siamo ancora alla prima fase dei processi di riforma. Sul piano di quelle istituzionali si è appena superato il primo scoglio dei voti in commissione al Senato, ma gli aspetti più controversi vanno ancora esaminati e poi c’è l’incognita dell’aula. Sulla legge elettorale non si è superata la fase del confronto con le altre forze politiche e resta il problema del che fare con i cinquestelle. Sulla riforma della giustizia siamo all’enunciazione di “linee guida” con rinvio della stesura dei testi ad un futuro per quanto annunciato come molto ravvicinato.
Molti hanno notato che Renzi se la deve vedere con le opposizioni sotterranee di una burocrazia che, almeno nei vertici, è poco disponibile al cambiamento. Lo stesso vale per una parte della classe politica, che non è disposta a lasciargli la gloria del riformatore che arriva dopo decenni di fallimenti proprio sul piano dei cambiamenti. Pochi se la sentono di affrontare di petto il vincitore delle elezioni europee, ma i mal di pancia nei settori che abbiamo menzionato sono diffusi. Facile dire che le riforme non sono pensate bene: succede così per tutte le proposte di riforma (andatevi a rileggere quel che si diceva delle riforme del centro-sinistra ad inizi anni Sessanta), ma ci si guarda dal dire che ragionare su un miglioramento delle riforme proposte diviene quasi proibitivo, quando questo venga subito trasformato nel classico strumento per non farne nulla.
Il fatto è che Renzi non può accettare il gioco di un tergiversare in attesa che tutti pian piano si convincano. Sa che già in sé non è una buona tecnica (vorremmo ricordare come finì la prudenza di Moro al tempo delle riforme appena evocate), ma oggi essa diventa improponibile. Renzi ha infatti bisogno del vento europeo in poppa per cominciare un tentativo di risoluzione dei nostri problemi strutturali. Però non avrà mai quel sostegno, se non riesce a dimostrare la sua capacità di realizzare il cambiamento. Per questo non può cedere alla tentazione dei piccoli passi e della ricerca dell’accordo almeno con una parte delle lobby e delle corporazioni.
La partita qui diventa effettivamente rischiosa. D’ora in avanti sarà per sei mesi formalmente alla testa della UE (formalmente, perché i poteri della presidenza di turno una volta che ci saranno il capo della Commissione e il Presidente dell’Unione, sono molto relativi), ma deve sfruttare questo tempo anche per mettere a riserva un capitale di credibilità, essenziale per il suo futuro.
Si osserva che Renzi sottovaluta la necessità di avere una sponda forte nella Commissione. Infatti l’eventuale nomina della Mogherini al ruolo di Alto Rappresentante per la Politica Estera è considerata da più di un osservatore come pompa senza sostanza. In effetti così è stato nella gestione attuale della Ashton ed è difficile immaginare che i grandi Stati (ma anche i piccoli) lascino fare la propria politica estera ad un… estraneo. Insomma quell’offerta somiglia al classico piatto di lenticchie, pur sontuosamente addobbato, che viene dato all’Italia proprio per gratificarla senza pagare pegno. Tuttavia adesso sarà difficile cambiare cavallo in corsa, soprattutto riuscendo ad ottenere egualmente un posto di peso, per cui fra l’altro occorre un candidato che sia al tempo stesso autorevole e interessato a fare tandem con Renzi.
In queste condizioni il premier deve mettere inevitabilmente al primo posto la politica interna e deve riuscire a far marciare la sua “fase due” portando in porto le riforme più importanti. L’arma della minaccia di elezioni anticipate non funziona più come prima, perché arrivarci in autunno o nella prossima primavera sull’onda di un blocco del processo riformatore, soprattutto con la disaffezione alla politica che investe metà del paese, rappresenta un rischio molto alto.
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