La faccenda è diventata un terreno paludoso in cui la politica politicante vuole attirare il governo
Fra le molte difficoltà che Renzi deve affrontare, lo scoglio della riforma del Senato non è fra i minori. Può sembrare assurdo che un tema dibattuto da più di sessant’anni possa trovare tante difficoltà. Non solo già alla Costituente si penò non poco per trovare un modello di “Camera Alta” che fosse dotato di qualche razionalità, finendo per convenire che l’unica soluzione era quella di farne sostanzialmente la fotocopia della Camera dei Deputati, perché sarebbero stati i partiti politici a garantire che il consenso si distribuisse in maniera uniforme fra i due rami del parlamento e che fra di essi non sorgessero conflitti, visto che i membri di entrambi erano poi espressione degli stessi gruppi politici.
Peraltro la soluzione non venne mai considerata ottimale. Colui che di fatto aveva operato per raggiungerla, proprio per la sua fiducia nella capacità dei “regia” dei partiti, cioè Dossetti, criticò il bicameralismo all’italiana già in una sua famosa lezione ai giuristi cattolici del 1951 e ripeté la critica più volte.
La filiera delle proposte di radicale ripensamento del Senato è lunghissima ed ha coinvolto una quantità impressionante di giuristi, politologi e commentatori. Ovviamente i critici del progetto (confuso) del governo sulla riforma hanno buon gioco a sostenere che sono d’accordo sulla necessità di riformare la seconda Camera, “ma non così”. Dove casca l’asino è però nel fatto che nessuno di questi brillanti critici è capace veramente di attaccare il cuore della questione: cioè immaginare un sistema di “rappresentanza della nazione” che sia diverso dalla raccolta del consenso politico per via elettorale diretta, il che porta inevitabilmente a duplicare la Camera dei Deputati.
In realtà la questione è più politica che giuridica: c’è il terrore che aprirsi ad un’altra tipologia di rappresentanza significhi un salto nel buio, perché non si sa proprio come immaginarla. Ovvio che in astratto è facile: una camera di alte personalità, prive di condizionamenti nei giochi di potere, dotate di formazione adeguata, che si riferiscano ai bisogni profondi della gente e non alle ideologie o alle pulsioni dei gruppi dirigenti. Siccome non si può farsela costruire in Val Gardena (come si usa dire dalle nostre parti), poi all’atto pratico tutti dubitano che si possano davvero trovare queste “personalità angelicate” e che invece succeda che uomini e donne scelte per canali politici niente affatto angelici finiscano per prendere un potere di condizionamento troppo elevato.
La soluzione immaginata è dunque quella di ricorrere a due… trovate. La prima, essenziale, è dare pochi compiti e pochi poteri al futuro Senato. La seconda è formarlo con membri già eletti per altri fini (presidenti di regione, consiglieri, sindaci) e dunque di derivazione inevitabilmente “partitica”, ma che si presumono impegnati ad agire nella difesa di “interessi particolari” (dei territori) in modo da non poter pretendere davvero un potere che non sia quello di veto per interessi molto settoriali.
Ovviamente se Renzi volesse affrontare seriamente il problema dovrebbe trattarlo in maniera adeguata, il che significa sia non ridurlo ad una questione di contenimento dei costi della politica (fine apprezzabile, ma parziale), sia sforzarsi di trovare dei veri criteri di legittimazione della nuova seconda Camera. Purtroppo bisogna dire che il ministro Boschi a cui ha affidato il compito è persona non all’altezza: non perché sia giovane (i “professorini” che fecero la nostra costituzione lo erano altrettanto), ma perché non ha mostrato sinora la capacità propositiva e il peso per tenere sotto controllo i fuochi di artificio che si sono aperti su un tema tanto delicato.
A questo punto la faccenda è diventata un terreno paludoso in cui la politica politicante vuole attirare il governo. Politici in cerca di visibilità, avversari dell’attuale fase di stabilizzazione, populisti di varia denominazione, nonché intellettuali amareggiati dal vedersi messi in soffitta dopo anni di dominio dei pulpiti, si stanno coalizzando per delegittimare l’operazione.
Illudersi di superare queste difficoltà soltanto col ricatto del voto di fiducia (palese o strisciante) o con qualche negoziato sottobanco che compri un po’ di consenso in cambio di qualche visibilità sarebbe un peccato capitale. Per la stabilizzazione del sistema, che Renzi vuole raggiungere, una riforma pasticciata del Senato sarebbe una pesantissima palla al piede. Prenda dunque l’iniziativa e chiami a raccolta chi veramente può aiutarlo a proporre una riforma che colga il giusto obiettivo che si è posto, ma che sia anche legittimante e funzionale.
Lascia una recensione