Nasceva dieci anni fa presso i giardini del Palazzo Arcivescovile di Trento, da un’idea di Maurizio Nichetti e Diego Andreatta, il “Parco dei Mestieri della Montagna”. L’iniziativa, destinata ai ragazzi delle scuole, faceva parte integrante di un grande progetto di svecchiamento del Trento Film Festival, di cui ancor oggi si raccolgono i frutti. Scopo del “Parco” era ed è quello di mettere a contatto i ragazzi, in un contesto giocoso e in mezzo al verde dei bei giardini trasformati per l’occasione in un vero e proprio parco interattivo, con i cento e passa mestieri vecchi e nuovi maturati sulle pendici dei monti: l’occasione di incontro con un passato fascinoso che va svanendo anche nella memoria, se parliamo di minatori e carbonai, ma – chi sa? – anche l’occasione giusta, se invece incontriamo l’ingegnere forestale, il faunista o il nivologo, per l’accendersi nel cuore di qualche ragazzo o ragazza della scintilla di una vera vocazione.
Toccava così a un foraneo, sia pure un genio della comunicazione come il milanesissimo Nichetti, andare a cogliere l’attrazione per i “mestieri della montagna” che sono certamente per noi moderni, a ben guardare, uno dei motivi fondamentali del fascino elementare delle valli alpine. Perché?
“Le Alpi” – scriveva giusto cento anni fa il sociologo francese Robert Hertz – “sono una riserva meravigliosa, dove l’etnologo è favorito non meno del botanico e del geologo”. Così, all’estrema varietà dei paesaggi, dei microclimi, delle nicchie ecologiche, alla biodiversità e alla grande diversità delle colture, in un mondo dove l’ulivo cresce a un tiro di cannone dal lembo dei ghiacciai, e la vite, il grano e il lino si coltivavano fino ai mille metri e anche oltre, fa riscontro sulle Alpi una analoga versatilità degli adattamenti operosi dell’uomo. Ecco così le valli – fino a un certo punto contadine ovvero agrosilvopastorali in via esclusiva – trasformarsi a poco a poco, sulla scorta di un’occasione, di un caso, di una vocazione qualsiasi, in veri e propri laboratori artigiani specializzati. Così, forzando i limiti dell’antico sistema di autosussistenza, si svilupparono dei veri e propri distretti artigiani di nicchia, qui valle dei molèta, là quella dei chiodaioli, e via via quelle dei conciapentole, degli scalpellini, dei venditori di stampe, dei pittori, dei merciai ambulanti, e via dicendo: un esercito di lavoratori, stanziali oppure migranti, ma sempre forti, ieri come oggi, di un’operosità instancabile ed ingenua, di tanto spirito d’avventura e di una incrollabile fedeltà ai valori aviti.
Per questo, il lavoro dell’uomo sulle Alpi, dove il pianeta mostra ancora un po’ del suo volto ostile, ha ancora la capacità di esprimere quel tanto di miracoloso che vi è nella lotta elementare dell’uomo con la natura, e del graduale adattarsi delle rugosità della terra alle necessità della vita dell’uomo. Così, i molti, moltissimi mestieri del mondo alpino – mugnaio fabbro boscaiolo segantino zattiere cestaio tessitore maniscalco pastore sono tra quelli presentati ai ragazzi in questi anni – presi tutti insieme, per un curioso paradosso, anziché di fatiche e di sudori inenarrabili, sembrano piuttosto raccontare una bella fiaba di vita operosa e tutto sommato spensierata, come la Lilliput alpestre degli orsetti di Buzzati, o forse il paesaggio sospeso ed incantato di un grande presepe con le sue cento comparse. Un affresco corale di grande suggestione, ingenuo e multiforme, che continua ad affascinare chiunque si accosti da qualsiasi angolatura al mondo della montagna.
Così, il Parco ha avuto successo, e continua ad averne, facendo registrare migliaia di presenze in pochi giorni. Visitato negli anni da molti grandi ospiti del Festival – da Mario Rigoni Stern a Susanna Tamaro, da Reinhold Messner a Mauro Corona – e animato dal simpaticissimo Salvanèl di Andrea Foches, il Parco è per alcuni giorni uno spazio aperto a tutti, uno spazio di gioco e di lavoro didattico, che andrebbe certamente sostenuto piuttosto che ridotto: per la città, una risorsa solo apparentemente effimera di attenzione al contesto territoriale che la circonda.
Giovanni Kezich
direttore del Museo Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all'Adige
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