I due papà e gli effetti del “caso Trento”

Non solo le leggi creano cultura. Anche i pronunciamenti delle Corti di Appello. Quello emesso il 23 febbraio del nostro Tribunale – che ha fatto notizia ormai come “il caso Trento – è destinato ad essere citato (purtroppo) a lungo, come gancio provvisorio in attesa che il Parlamento arrivi a normare in modo compiuto casistiche impensabili fino a poco tempo fa. Che ora sono rese possibili dalle biotecnologie, ma non per questo sempre giustificate da sani principi bioetici.

Vale la pena, dunque, provare a fare chiarezza dieci giorni dopo. A partire dal fatto che non è ancora definitiva, efficace, quell’ordinanza di 20 pagine che riconosce in Italia il legame genitoriale dei due “papà” omosessuali con due gemelli ottenuti in Canada tramite maternità surrogata. Sappiamo anzi che l’ordinanza sarà certamente impugnata e ci sono buone ragioni anche tecniche per ritenere che la Cassazione possa accogliere i motivi del ricorso illustrati ai lettori di Vita Trentina (vedi pag. 5) dalla Procura generale presso la Corte d’appello. Chissà, quindi, che con un’eventuale “bocciatura” da parte della Cassazione non si possa parlare di un “caso Trento” utile a far capire i due macroscopici aggiramenti della legge che la trascrizione quasi automatica del documento canadese ha portato con sé.

Infatti apparentemente risulta solo un problema procedurale (ci chiediamo peraltro: ma un atto emesso secondo regole di un ordinamento straniero deve sempre essere “importato” necessariamente in uno Stato in cui le regole sono diverse?), ma nella sostanza è evidente che la coppia gay trentina si è rivolta alla costosa pratica di fecondazione assistita in Canada per “aggirare” i divieti della legge italiana. In particolare due “paletti”, che godono per ora anche di un maggioritario consenso nell’opinione pubblica: il no alla maternità surrogata e il no all’adozione da parte di coppie omosessuali.

Sul primo aspetto si è soffermato già la settimana scorsa il nostro don Piero Rattin (vedi VT pag.9), ma lo stesso Arcivescovo Lauro Tisi vi è tornato sabato confermando le profonde “ragioni” non solo cristiane che rendono inaccettabile “l’utero in affitto”. E non a caso ha parlato di “umiliazione della donna”, che nell’ordinanza del 23 febbraio viene citata solo di passaggio. Anzi le donne sono due (chi ha fecondato e chi ha partorito) e su di loro i gemelli nutriranno naturalmente delle ancestrali domande. Come ribadiscono i promotori del disegno di legge sul “riconoscimento dell’origine biologica” che viene esaminato in questi mesi dal Parlamento ed ha già ottenuto il via libera della Camera.

Secondo paletto: il permesso di adozione ad una coppia dello stesso sesso. Non è previsto e ammesso per ora dalla legislazione italiana, e non certo per volontà di discriminazione verso le persone omosessuali. Trova una sua implicita motivazione di principio nella Costituzione stessa, come hanno ricordato varie manifestazioni e attestati di protesta nei giorni scorsi. Ma anche nel buon senso che ha ispirato a suo tempo la legge sulle adozioni. “La genialità di una filiazione sociale per un bambino senza nessuno – scrive con la consueta limpidezza il magistrato Giuseppe Anzani su Avvenire – è infatti il dono doveroso di dargli un padre e una madre, a rimontare la sventura dell'abbandono; una famiglia che la legge attuale vuol fatta di coniugi, idonei, non separati (il best interest). Quale diversa realtà sia la produzione programmata di un bambino per desiderio di adulti che non possono generare, come accade nella maternità surrogata, col contratto che strappa il figlio alla madre al parto e lo consegna ai committenti, è sotto gli occhi di tutti; violenza atroce contro la donna e la maternità. In Italia è delitto, in alcuni Paesi si fa; e c' è modo in Italia di beffare la legge usando la legge: di solito si usa quello delle trascrizioni anagrafiche”.

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