Come si forma un politico (ma non di professione)

E’ riconosciuta da tutte le forze politiche, anche nel Trentino che già discute sul successore di Ugo Rossi per il 2018, la difficoltà di trovare leader che abbiano capacità sostenute da uno spessore morale e civile. Tanto che, come avviene ora sullo scenario nazionale con il ritorno di illustri ex, si finisce per ripiegare sull”usato sicuro” o sulle dinastie familiari e clientelari invece che discernere ex novo vocazioni genuine e motivate ad amministrare il bene comune.

Ma in quali vivai cercare? come crescere buoni politici? La storia è magistra vitae e illuminante risulta la lettura estiva dell’ultimo libro su Degasperi che lo storico del movimento cattolico Armando Vagagnini ci ha regalato per mettere a fuoco il rapporto coerente fra il percorso esistenziale e formativo del “primo Degasperi” con la successiva leadership dello statista europeo. Il saggio “Alcide Degasperi: non era un politico di professione” afferma fin dal titolo l’estraneità ad una concezione totalizzante della politica come mestiere: anzi, egli la vedeva limitata nel tempo e mai “perfetta” nei risultati.

La prima decisiva formazione al riscatto sociale la apprese nello stile con il quale i suoi genitori di povere origini e forte tradizione religiosa aprirono i quattro figli al futuro; la maturò nelle imprese cooperative avviate per i contadini dei suoi paesi e la espresse poi in un giornalismo non effimero, di servizio, coraggioso durante la guerra nel denunciare i problemi dei profughi sul loro “Bollettino”. Alcide fu segnato da queste urgenze  di evangelica “opzione per i poveri”, insegnategli anche dal cappellano di Civezzano don Vittorio Merler, e le tradusse poi in sobrietà di vita e in impegno amministrativo, ad esempio sottraendo dalla miseria i contadini dei sassi di Matera.

Mai disincarnato dai problemi della terra, fin da studente seppe guardare in alto e formare la sua coscienza attraverso robuste letture. Non aveva una pagella da primo della classe, ma trovò alimento duraturo negli studi classici all’Arcivescovile e poi nel confronto laico al Liceo Prati: quei docenti educatori e i maestri di pensiero (da Diogene a Dante, da Sant’Agostino a Milton) affiorano nei suoi scritti. Tanto che i versi del buon Manzoni a Carlo Imbonati sul Ver e l’Onesto si ritrovano citati in un suo discorso al secondo Congresso della DC.

Anche la cariera universitaria – ed è un esempio per gli studenti di oggi – Alcide non la visse come ambizione di erudizione personale ma come esperienza di vita da valorizzare nei dialoghi con i colleghi dell'AUCT cattolica, ai quali si dedicava come trascinatore, aperto anche agli universitari laici. Non lo fece mai da teorico puro o fumoso idealista, ma da giovane che, inserito nei travagli della sua storia e della sua terra, “va oltre i suoi doveri di studente” per trovare stimoli nella propria ricerca.

Centrale fu in questo la frequenza a Vienna. Egli sentendosi sempre “italiano d'Austria” maturò un'idea di trentinismo in accezione positiva, sottolineando “questa duplice appartenenza storica, considerata come un arricchimento oggettivo”, come spiega Vadagnini, un' esperienza di “duplice cittadinanza” che lo portò a evitare gli schematismi sia del nazionalismo imperante che della venerazione degli Asburgo.

Anche nella scelta religiosa, come per tanti avviene nella vita, gli anni giovanili furono decisivi. Il giovane Alcide mise la convinzione dei genitori e l’impostazione cristiano-sociale dell’associazionismo cattolico e del movimento cooperativo alla prova del liberalismo da una parte e del cattolicesimo conservatore “clericale” dall’altra. Elaborò una spiritualità personale, un forte senso ecclesiale (il “sentire cum ecclesia”, come gli diceva l’amico don Giulio Delugan, direttore di Vita Trentina), ma anche una concezione laica della politica, che rappresenta un’alta forma di carità ma richiede un approccio realistico e possibilista. Quindi, “non una visione “messianica” della società – precisa Vadagnini, – come se lo Stato o il partito cattolico fossero deputati a compiere una rivoluzione antropologica per garantire la democrazia, il pluralismo e la difesa dei diritti umani”. Peraltro “la politica si presentava come il metodo più efficace per permettere ai cattolici di ‘uscire dall’Arca’, come sciverà più tardi, cioè di essere presenti anche fuori dalle chiese, per sentirsi partecipi a pieno titolo, come laici e come cattolici, del progresso sociale e dell’epoca storica che si apriva a nuovi orizzonti”.

Queste pagine divulgative, che misurano con fonti precise il “peso” dell'esperienza prepolitica del futuro presidente del Consiglio, offrono un manuale prezioso a chi s'interroga sui requisiti formativi essenziali per i politici di domani.

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