[ 2 Re 5, 14-17; Sal 97;
2 Tm 2, 8-13;
Lc 17, 11-19
Nove lebbrosi obbediscono a Gesù e anche dopo essere guariti continuano il cammino. Il samaritano, invece torna a ringraziare. Chi dimostra una fede più genuina? Perché? Cosa vuol dire per me far parte di una comunità che crede e ringrazia?
Nel piccolo gruppo che si incontra a riflettere sul Vangelo nelle mie parrocchie, che cerca anche con fatica di scorgere la presenza di Dio nella vita di ogni giorno, questo brano di Luca ha dato la possibilità di stupirci ancora una volta scoprendo il modo con cui Gesù accompagna le esperienze umane e le rinnova. Gesù è in cammino verso Gerusalemme, verso quella città dove porterà a compimento la sua missione morendo in croce e risorgendo. Attraversa la Galilea, la Samaria e la Giudea, regioni ostili, luoghi dove ci si guarda con diffidenza, dove si incontra bene e male, malattia e morte, amici e nemici. Gesù incontra dieci lebbrosi che invocano il suo aiuto. Sono colpiti da una malattia terribile, che marcisce il corpo e distrugge lo spirito e le relazioni. Questa malattia era considerata un gravissimo castigo che Dio infliggeva ai peccatori. I lebbrosi vivevano emarginati dalla comunità e condannati a un’esistenza misera. Essi scorgono Gesù da lontano. Sono fiduciosi che possa offrire loro il suo aiuto. E Gesù che è sempre attento a chi soffre, soprattutto a chi vive maggiori disagi e difficoltà, presta loro attenzione. I lebbrosi sono dieci, numero che in Israele indica la totalità. Numero che dà anche a noi una indicazione preziosa: siamo tutti lebbrosi, tutti bisognosi.
Quei lebbrosi gridano: «Gesù, Maestro abbi pietà di noi!» Non gli domandano l’elemosina, ma si affidano alla sua compassione. Dei dieci uno è un samaritano, uno straniero, un nemico: il dolore e la malattia accomunano gli uomini, senza distinzione di religione, di etnia. Urlano il loro dolore, il loro abbandono. Manifestano così anche la loro fede, perché la fede è riconoscere senza vergogna il proprio stato, il proprio malessere, il disagio che ci si porta addosso e affidarlo a Gesù con speranza . Gesù dice loro di andare a Gerusalemme, perché i sacerdoti certificassero la loro guarigione. Ed essi obbediscono. Mentre vanno scoprono di essere purificati. «Gesù guarisce che li esprime la sua fede, camminando abbandonato a lui.» Nove continuano il loro cammino, uno invece torna indietro, lodando Dio e prostrandosi ai piedi di Gesù.
Grazie a questo Samaritano noi scopriamo una dimensione di gratuità della vita che spesso dimentichiamo: la salvezza che Dio ci offre in Gesù è puro dono e non dipende dai nostri meriti o dalle nostre qualità. E Gesù loda il lebbroso che non gli ha obbedito, non ha continuato il suo viaggio verso Gerusalemme, ma ha ascoltato la voce del cuore ed è tornato indietro. Ha capito che Gesù non è solo un profeta, è il Dio con noi, il Dio che salva. Con il suoi elogio a questo straniero Gesù vuol farci capire che la fede non consiste nell’obbedire a ordini, o celebrare bei riti, o saper elencare verità definite, o conoscere il catechismo a memoria, ma è anzitutto lodare e ringraziare, riconoscere dai doni ricevuti (vita, salute, fede, amici, famiglia) la grande bontà di Dio e di Gesù. E’ sbagliato fare quello che ci viene chiesto senza riflettere, perché rischiamo di non capire ciò che davvero Dio vuole. Regole troppo rigide servono anche a tener lontano chi è in ricerca, chi vuol capire prima di agire, per partecipare consapevolmente alla ricchezza del Dio di Gesù di Nazareth. Quel samaritano, figura tanto cara all’evangelista Luca, sa incontrare Dio in Gesù, una persona che incontra per strada. Gesù è una presenza che guarisce e che salva, cioè che dona pienezza di vita, dove è sempre possibile sperimentare speranza, fiducia, gratitudine e riconoscenza.
Lascia una recensione