I parametri di Dio

Es 32,7-11.13-14

Salmo 50 (51)

1 Tm 1,12-17

Lc 15,1-32

So aiutare le persone guardando al loro bisogno più che ai loro meriti? Nelle nostre comunità ci fidiamo di Dio, di quello che ci indica la sua parola, andando magari contro abitudini e pregiudizi?

La liturgia oggi ci presenta un modo di fare di Dio poco comprensibile per il modo di ragionare di noi uomini. È il Dio della misericordia, il Dio che sa far festa per una sola pecora che dopo essersi smarrita è stata ritrovata e per un figlio che torna a casa dopo essersene andato malamente. Nel capitolo quindicesimo del suo Vangelo Luca racconta tre parabole molto note: la pecora smarrita, la moneta perduta e il figlio prodigo o, forse meglio, il Padre misericordioso. L’evangelista ci presenta un Dio a rovescio rispetto al Dio della religione ebraica e si fa evidente il dissidio tra Gesù e l’istituzione religiosa. Gli scribi e i farisei infatti non possono accettare questo modo di proporre il discorso su Dio. Come non lo può accettare il figlio maggiore. Egli rappresenta la persona pia, religiosa, che non ha mai dato un dispiacere al Padre: ha sempre obbedito ai suoi comandi, ma non ha mai compreso il suo cuore. Allora, mentre il Padre gioisce per il ritorno del figlio «che era morto, ed è tornato in vita», egli, anziché rallegrarsi, «giudica tutto con i parametri religiosi della morale, si indigna, si arrabbia e non vuole entrare in casa» (Alberto Maggi).

Gesù ci presenta un Dio che non guarda ai meriti dei suoi figli, ma alle loro necessità e sofferenze. Mi soffermo brevemente solo sulla parabola della pecora smarrita. Subito si capisce che Dio ha un modo di ragionare molto diverso dal nostro, anche della religione; non gli interessano i calcoli, i giochi per il tornaconto personale, ma pone attenzione a chi si trova maggiormente in difficoltà. Il pastore non trascura le 99 pecore, almeno il Vangelo non lo dice e non ci è lecito pensarlo. Forse Luca scrivendo che le lascia nel deserto, vuole ancor più sottolineare la passione travolgente, esagerata per la pecora che si trova nel pericolo. Qui viene posta l’attenzione su ciò che Dio fa per recuperare il peccatore e non invece su ciò che debba fare il peccatore per essere riaccolto da Dio: ogni persona è assolutamente preziosa agli occhi di Dio. L’esplosione della gioia nel ritrovamento è indice di questo amore appassionato e umanamente irrazionale. La parabola contiene un invito rivolto alla Chiesa: essa non può chiudersi nella cura dei vicini! Deve preoccuparsi anche dei “lontani” (e mi si scusi l’uso di questo termine un po’ ambiguo), ma non per conquistarli, ma per un’urgenza umana ed esistenziale. Si tratta di imitare il pastore che vuole liberare la sua pecora dal pericolo e metterla al sicuro.

Anche oggi vi sono persone non pienamente libere, perché vivono in situazioni che cancellano la loro dignità e i loro diritti. Di conseguenza sono emarginate o addirittura condannate. La Chiesa deve forse preoccuparsi di renderle “religiose”? Non è più urgente dare loro la dignità di persone? Gesù non ridà la vista ai ciechi, l’udito ai sordi perché diventino suoi seguaci o aderiscano alla sua visione del mondo. Lo fa perché diventino persone nella pienezza del termine. Più sono persone, più sono immagine di Dio!

Termino lasciando spazio alla suggestione che commentando questa parabola un amico ha messo in evidenza: “il pastore non priva della libertà di iniziativa propria di ciascuno”. Lo esprime bene questa splendida interpretazione di Anthony De Mello: «Una pecora scoprì un buco nel recinto e scivolò fuori. Era così felice di andarsene. Si allontanò molto e si perse. Si accorse allora di essere inseguita dal lupo. Corse e corse, ma il lupo continuò a inseguirla, finché il pastore arrivò e la salvò riportandola amorevolmente all’ovile. E nonostante che tutti l’incitassero a farlo, il pastore non volle riparare il buco nel recinto».

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