Padri-padroni in una società liquida

Ritornando sul tema dell’autorità, tre mesi fa avevo scritto che col ’68 una rivoluzione culturale mondiale ha contestato un millenario “solido autoritarismo”, aprendo “un’era liquida” di disobbedienza e permissivismo. Oggi si contesta non solo “il padre di famiglia”, ma anche ogni visione religiosa imposta in nome di un “Dio Padre onnipotente”. Nel Vangelo, Gesù si riferiva a un Dio “padre-padrone”, perché così erano i padri, da 6000 anni fino a 50 anni fa: col loro “seme”, credevano di essere loro i creatori di vita, con diritti di proprietà sulle “loro creature”! D’altra parte, sempre nel Vangelo, domina il Dio “Spirito di Amore assoluto” che, autorevolmente e razionalmente, ci guida verso un “regno di Amore universale” sulla Terra: questo si raggiunge però in un solo modo, “solo se ci si fa bambini”, come più volte disse Gesù. Oggi è la spiritualità del Vangelo che dovrebbe essere messa alla base della religiosità, e non viceversa. Quale è la tua visione in merito?

Dino

Come avviene molto spesso nella storia, definiamo convenzionalmente alcune date che fungono da spartiacque tra un prima e un dopo. Esse in realtà sono il punto di rottura di un equilibrio già eroso da processi di più lunga durata con radici che affondano nei decenni se non nei secoli precedenti. Così penso valga per il 68, un anno sicuramente speciale, capace di segnare un’epoca, ma esito di movimenti di più ampio respiro.

Infatti il principio di autorità era stato messo in discussione molte volte, per esempio quando le rivoluzioni eliminavano il monarca, con quel gesto, non volevano solamente cambiare l’assetto istituzionale, ma proprio dare uno scacco al potere costituito, alla gerarchia consolidata. Mai prima di 50 anni fa questa contestazione era stata così capillare e trasversale; si criticava l’autorità ad ogni livello: familiare, sociale, culturale, politico, religioso… E quindi la figura del padre, simbolo per antonomasia dell’autorità, subiva la medesima sorte. Occorreva liberarsi una volta per tutte di questo modello connesso esclusivamente a un tipo di società, appunto definita come patriarcale.

Questa trasformazione quali risvolti ha avuto dal punto di vista religioso? A mio avviso per comprendere bene pure il presente è necessario ritornare ai due forse più grandi “profeti” dell’ottocento che, a distanza di 150 anni, hanno predetto come sarebbe stata la cultura contemporanea (europea e occidentale). Mi riferisco a Dostoevskij e Nietzsche. Quasi negli stessi anni essi percepirono l’entità del cambiamento in atto, soprattutto sul versante di cui stiamo parlando. Ne “I fratelli Karamazov” i figli – con un grado maggiore o minore di responsabilità – uccidono il padre: questo omicidio scaturisce dal venir meno della fede in Dio per cui alla fine “tutto è permesso”.

Nietzsche annuncia la “morte di Dio”. Attenzione però: il filosofo tedesco, seppur in forte opposizione, si muove dentro l’alveo del cristianesimo. Il suo non è un ateismo militante – ideologico o scientifico –, ma la constatazione di un sovvertimento completo dei valori di cui l’immagine dominante di Dio era garante. Nietzsche denuncia proprio la figura di un Dio “padrone” proponendo invece quella (evinta dalla tradizione greca pagana) del “fanciullo che gioca e danza” simbolo di fiducia, leggerezza, libertà, serenità.

È vero infatti che questa “rivoluzione” del concetto di autorità – e pure di Dio – tutto maschile e “padronale”, ha fatto per certi versi e con mille contraddizioni recuperare una sensibilità femminile che ci parla di nascita, cura, generazione della vita. E quindi di bambini. Chiaramente la concreta fragilità del bambino sovverte ogni autorità: non può nulla, non ha alcun potere, ma la sua stessa presenza chiama il mondo degli adulti a una responsabilità assoluta. È la responsabilità del futuro.

Questa visione non è certo stata inventata dalla modernità. Talvolta ci dimentichiamo che il cristianesimo si fonda sulla nascita di un bambino. Mi ha poi sempre colpito il detto di Gesù per cui, per entrare nel regno dei cieli, occorre ritornare come bambini. Davvero profonda (e anche difficile) questa affermazione, rivoluzionaria per un contesto storico in cui i bambini semplicemente non esistevano perché considerati non-ancora adulti.

Questa frase ci spiega quale rapporto tenere con Dio, un rapporto essenzialmente di fiducia, di abbandono e di amore. Il bambino non pensa troppo, si rivolge ai genitori sicuro di essere compreso e pure difeso. Questo è il modello a cui riferirci anche per ritrovare l’autorevolezza dei padri.

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