Un libro di grande successo ora in versione cinematografica. Nella storia di August, ragazzino dal volto menomato, una provocazione per tutti: andare oltre l’apparenza
Nel librone della facce in rete, Facebook per intendersi, quella di August “Auggie” Pullman non sarebbe certo candidata a un gran profilo, di quelli accattivanti. Diciamo pure: impresentabile. L'alternativa potrebbe stare nel casco da astronauta, attraverso il quale sceglie o, meglio, è costretto, a relazionarsi con un mondo che indietreggia alla vista del suo volto, sfigurato, fin dalla nascita, dalla sindrome di Treacher Collins, rara malattia genetica.
Per il protagonista di “Wonder”, del regista Stephen Chbosky, tratto dall’omonimo successo letterario di R.J.Palacio, arriva però il momento in cui s’impone una scelta. Accade con l’ingresso alle scuole medie, dopo un percorso di istruzione ricevuta a casa propria, a causa dei ripetuti interventi chirurgici subiti nel primo decennio di vita. Il racconto cinematografico (fedelissimo peraltro al libro) gioca attorno a questa difficile, apparentemente insormontabile, sfida: non accontentarsi di stare idealmente sulla luna, ma camminare piedi a terra e testa alta. Accettare se stesso e farsi accettare. Non tanto in famiglia, dove Auggie sembra trovare comprensione, riparo, sprone nell’amorevole maturità dei genitori Isabel e Nate e nell’istinto protettivo della sorella Via. Nemmeno tra i volti istituzionali della scuola, dall’auto-ironico preside Kiap, monumento di saggezza pedagogica, ai docenti innamorati del loro lavoro e per nulla intimoriti dal nuovo arrivato, di cui colgono subito doti intellettive eccellenti. La parte più dura è invece con i compagni di classe, dove a pelle serpeggia un’inevitabile, comprensibile, diffidenza. Ma dove, passo passo, il fronte del rifiuto si apre in modo sorprendente, toccando punte di amicizia sincera.
L'evoluzione di Auggie, le sue graduali e sofferte conquiste, il “trovare il proprio posto nel mondo” (come anticipa la copertina del libro), non basta però a spiegare l'efficacia di Wonder. La storia vincente di August diviene infatti provocazione collettiva, tanto che molti dei personaggi, a cominciare da Via, balzano alternativamente in primo piano, affiancandosi al protagonista e raccontandosi in prima persona. Il percorso di formazione tocca un po' tutti, ridisegna gli equilibri relazionali nella sua famiglia. Evidenzia la capacità di evolvere velocemente nell'accettazione da parte dei compagni e la persistenza del pregiudizio per lo più nel mondo adulto. Ma, soprattutto, dimostra, nell'epoca del trionfo dell'immagine e dell'apparenza, che la vera forza di un uomo non sta certo nelle pieghe armoniose ma superficiali di un volto, ma in ciò che esso custodisce. Tant'è che, alla fine, il signor Kiap decide di premiare proprio la “grandezza” di August Pulmann con una motivazione che merita di essere citata: “Il più grande è colui che trascina il maggior numero di cuori grazie al richiamo del proprio. La medaglia va allo studente la cui forza tranquilla ha trascinato il maggior numero di cuori”.
Con la leggerezza di un’opera letteraria e cinematografica pensata per i ragazzi ma destinata a tutti, Wonder non disegna un mondo perfetto, ma un mondo possibile, sfuggendo (quasi del tutto) al rischio della melassa buonista. E riconsegna, in una partita indubbiamente ardua, a ciascuno il proprio ruolo nel segno della responsabilità, unico valore non negoziabile. Altamente consigliato, soprattutto per una visione familiare. Dopo 113 minuti di proiezione, se ne esce provocati a guardarsi, almeno per un attimo, in faccia, senza il filtro di uno schermo.
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