Dimenticare?

Ci è impossibile dimenticare. Persino gli animali ricordano un bastone con cui sono stati colpiti e girano saggiamente al largo

Dimenticare le offese? E' possibile? Sarebbe un bene? Quante volte ci siamo sentiti dire: "Credevo di aver perdonato ma spesso mi ricordo dell'offesa. Allora vuol dire che non ho perdonato". Questa frase rivela la bontà d'animo, la sincerità delle intenzioni, la generosità dell'offeso e rivela anche che il perdono è stato dato davvero e seriamente. Essa manifesta, però, altresì una scrupolosità ed un'onestà di coscienza che pretendono l'impossibile, qualcosa che vuol andare oltre la capacità dell'animo umano. Fortunatamente non dimentichiamo e ci è impossibile dimenticare. Persino gli animali ricordano un bastone con cui sono stati colpiti e girano saggiamente al largo. Se ho capito bene, anche la materia ha una memoria sia pure inconscia ma fedele. La memoria di un' aggressione è salutare e fa parte della natura umana che ci tutela, come una lucetta rossa che preavvisa e salva da ulteriori danni. Questo nella dimensione esterna, danni morali e materiali. Forse ancor più la nostra memoria merita di esser ringraziata dal punto di vista interiore, psicologico. Già da tempo gli psicanalisti ci mettono in guardia dalle rimozioni. Quanto vien rimosso delle nostre sofferenze è come un barile, abbandonato a se stesso nella stiva di un veliero che, in balia delle onde, rotola sfondando tutto attorno a sè. Ogni ferita, quanto più rimane nell'inconscio, ci procura danni psichici, relazionali e perfino fisici. Se emerge alla nostra coscienza fa già il primo passo verso la guarigione. Benedetta quindi l'offesa perdonata ma non dimenticata. Coltiviamo il ricordo perché benefico oltre che inevitabile. Quanto più la memoria è precisa tanto più è vero e totale il mio perdono.

E' già grande fatica il perdono! Non aumentiamo la fatica pretendendo che oltre il perdono ci sia anche l'oblio. Oblio che non soltanto è sovrumano ma non appartiene neppure a Dio. Dicono, è vero, che solo Dio può dimenticare. Ed infatti la Bibbia lo ripete. Ma è un dimenticare affettivo. Tutta la realtà è presente in Lui. Non esistono vuoti di memoria, avvenimenti o sentimenti fuori dalla sua conoscenza. E neppure può procurarseli per libera decisione. La Luce non può non esser luce. Dio dimentica l'offesa, comprende lo smarrimento del soggetto, accoglie il pentimento come mille volte più reale dell'errore, ama ancor più intensamente l'errante perché lo sa più infelice del giusto. In Lui tutto diventa amore senza bisogno di falsificare le carte. Il suo dimenticare è un "come se": può una mamma dimenticare le sofferenze che le hanno procurato, e si son procurate i figli? Ricorderà, con gioia, con commozione, con pena, ma ricorderà. Perché l'amore si lascia segnare e non perde nulla. Tutto rimane scritto nel cuore di Dio e verrà rivissuto nell'abbraccio del Cielo con grande tenerezza. Tutto viene trasfigurato ma niente viene tradito o falsificato o negato. L'assurdo dell'offesa e del perdono, il dramma tragico nel cuore dell'offeso e dell'offensore, la distruzione di una relazione, l'ira e il pianto. Tutto sembrava morte e diventa pienezza di vita. Sembrava un essersi perduti e diventa rinascita migliore. Sembrava iniquità irrimediabile e diventa il massimo di giustizia. Sembrava inumano e diventa divino. Come le ferite nel Cristo Risorto. Non lo deturpano ma, solo loro, lo rivelano completamente.

E' nota la storia, narrata da Guy Gilbert, di Maïti Girtanner, una donna svizzera che, a quarant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha ritrovato il suo aguzzino, un medico delle SS che aveva condotto su di lei degli ‘esperimenti’. Maïti, una giovane promessa della musica, era entrata nella Resistenza all’età di diciotto anni dopo che i tedeschi avevano occupato la Francia. Nel 1943 fu arrestata dalla Gestapo.

Le sevizie inflittele dal suo aguzzino le provocarono sofferenze insopportabili per tutta la vita, che le preclusero per sempre il sogno di riprendere a suonare il piano, la sua passione. Quell’ex medico nazista volle incontrarla quando seppe di essere stato colpito da un male incurabile. Anche se l’operato di Maïti Girtanner come partigiana è già di per sé testimonianza di una fede formidabile nell’umano, è il suo perdono che entrerà nella Storia.

Nei terribili anni di solitudine che trascorse dopo la guerra, Maïti ebbe un desiderio folle di perdonare il suo torturatore per non ritrovarsi distrutta, questa volta nell’anima. Pregò per lui per quarant’anni. Fino a quel giorno del 1984 in cui ricevette una telefonata. Riconobbe la voce. Accettò di vederlo. Gli parlò dell’Amore di Dio.

«Nel momento di congedarsi – racconta Maïti Girtanner nel suo libro Mēme les bourreaux ont une āme – era in piedi, alla testa del mio letto, e un gesto irrefrenabile mi ha sollevato dai miei guanciali, benché mi facesse molto male: l’ho abbracciato per deporlo nel cuore di Dio. Lui mi ha detto, a voce molto bassa: “Perdono”. Era il bacio della pace che era venuto a cercare. Da quel momento ho compreso che avevo perdonato».

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