Ieri: ”Per favore ci fa una foto?”.
Quante volte passando in località almeno un po' turistica o dopolavorista, in giornate piacevoli, ci siamo sentiti rivolgere questa richiesta da qualcuno che ci porgeva la sua macchina fotografica…
Il portavoce di una piccola comitiva, di un gruppetto di amici, di una coppia di innamorati. Eravamo oggetto di un rapido esame di abilitazione. Al superamento di una veloce selezione: il 10% dell'umanità benestante si fidava di consegnare ad un altro 10% un suo piccolo gioiello.
Voleva dire che non eravamo considerati né troppo giovani né troppo vecchi. Né troppo spensierati e disinvolti né troppo sofisticati, non proprio imbranati ma neppure perfezionisti.
Evidentemente non davamo l'idea di essere in preda a pensieri impegnativi, immersi in discussione di affari, troppo presi dal panorama, troppo introversi, e neppure in vena di tiri birboni. Eravamo previsti come soggetti che apparivano probabilmente più onorati che onerati da quella improvvisa responsabilità. Insomma avevamo inconsapevolmente superato un esame ed eravamo, in modo fulmineo, promossi fotografi sul campo.
Oggi, con il selfie, questa categoria sociale altamente selezionata sta scomparendo. Un genere in fase di estinzione, se non già estinto.
Non so se qualche studioso della società sempre più liquida si accorgerà di questo vuoto, di questo brusco calo di relazioni sociali. Non so se le statistiche sul volontariato di strada segnaleranno questa scomparsa.
Il selfie è un “fai da te”. Basta stendere un braccio, munito di apparecchio congruo, fuori dalla coppia, nucleo o minicomitiva, e la foto immortalerà il momento.
Il dizionario definisce il selfie: “un autoritratto fotografico realizzato attraverso un dispositivo elettronico” senza intenzioni artistiche. Resta solo il sorriso.
E nasce la generazione del "Facciamo un selfie assieme"?
Dal punto di vista statistico, risulterà che, sia pari o dispari il numero degli immortalati, il numero delle braccia sarà sempre dispari rimanendo sacrificato al bene comune quel braccio fuori quadro che regge e punta l'apparecchio. Salvo l'uso di una “asticella”.
Dopo l'orgia del '68 , quando tutto era politico, avevamo vissuto il riflusso sul privato. Il selfie ripropone questo rientrare in noi stessi? Un momento di autocoscienza? Se ne accorgeranno gli storici?
Quale collegamento possiamo trovare tra lo scalpo delle tribù pellerossa e il numero di personaggi scelti che totalizzo nella mia collezione fotografica? E' una caccia al personaggio amico e/o famoso cui posso affidare la promozione del mio prestigio. Un selfie con papa Francesco! Come la dedica e l'autografo dell'autore su un libro di mia proprietà. Uno status symbol!
O forse sarà il trionfo di Narciso che da secoli è rimasto solo a contemplarsi nello specchio?
La grande arte pittorica ha qualcosa da suggerire in proposito? Dal punto di vista della fede esiste un santo protettore dei selfisti? Che ci protegga dalla selfie-mania?
Risposta e compito per casa. Andate in una libreria religiosa e chiedete una copia del primo selfie della storia: l'icona dell'Amicizia, che si trova al Louvre. Gesù e l'abate Mena. fianco a fianco. Gesù più marcato, l'amico e discepolo più rarefatto. Tutti e due guardano noi. E naturalmente le braccia visibili sono tre. Gesù appoggia la mano destra sulla spalla dell'amico: è segno di coinvolgimento nella sua umanità , di condivisione della sofferenza, di guida ferma e sicura. La spalla è il luogo delle nostre fatiche.
Il tempo ha cancellato i piedi a Gesù, ma gli rimangono i piedi dell'amico, cioè i nostri piedi.
Forse Mena aveva chiesto a Gesù: “Lo facciamo un selfie assieme?”.
Buona idea! Anch'io posso dire per la vita: “Gesù lo facciamo un selfie assieme?”.
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