A quali compromessi si è disposti a scendere e qual è la linea di confine invalicabile quando, per conservare il posto di lavoro, si è costretti a rispettare regole che impongono di spiare i colleghi, rischiando così di perdere la propria dignità e al tempo stesso di non riconoscere più quella altrui?
Al cuore de La legge del mercato, film di denuncia diretto dal regista francese Stéphane Brizé, sta il dilemma morale che attanaglia Thierry, un dolente ma mai sopra le righe Vincent Lindon che ha vinto la Palma d'Oro a Cannes interpretando la storia di un uomo disoccupato in cui è facile identificarsi in tempi in cui il tema del lavoro e della sua perdita è al centro del dibattito politico e sociale.
Thierry è un cinquantunenne con un figlio disabile che, dopo un anno e mezzo trascorso nella giungla di umilianti colloqui via skype, stage che si rivelano inutili, corsi per imparare quale postura e tono della voce adottare per convincere i datori di lavoro a farsi assumere, trova impiego in un grande centro commerciale come guardia addetta al controllo della sicurezza. Il suo compito è quello di scoprire se i clienti rubano e spiare pure il comportamento dei colleghi attraverso una serie di telecamere di sorveglianza poste nei vari reparti, simile ad un piccolo dio che ha il potere di accusare e condannare senza appello anche di fronte a furti di lieve entità.
Thierry è un uomo che resiste, cerca di guardare avanti e fare le scelte giuste per sé e la propria famiglia, ed è disposto ad accettare qualsiasi impiego, ma indossare la divisa non significa solo lasciarsi alle spalle l'instabilità economica: si tratta di sottostare ad una legge che costringe a ignorare la sorte degli altri, quel destino di precarietà che fino a qualche mese prima aveva condiviso.
Lo spettatore guarda l'uomo osservare i clienti nelle corsie del supermercato e sente crescere una sensazione nauseante, amplificata dalla scelta del regista di costruire la storia per sottrazione, accumulando scene dai confini sempre più angusti e ristretti. Quadri di una via crucis simili a istantanee di una vita mortificata, in cui sembra non esserci spazio per alcuna possibilità di riscatto, vissuta in luoghi chiusi – uffici, stanze, la sala dove Thierry e la moglie prendono lezioni di ballo, il supermercato -, impregnata di dialoghi tesi e opprimenti, con la camera quasi sempre puntata sull'uomo e sul suo volto, ripreso frontalmente o a tre-quarti, anche quando sono altri a parlare, pronta a cogliere ogni sua reazione, come in attesa di un segno di cedimento. Un'insistenza cercata, che cattura invece il momento in cui il disagio diventa insostenibile e con un gesto di ribellione silenziosa ma non più rinviabile, Thierry si toglie la divisa e se ne va, rifiutando di essere ingranaggio indifferente di un sistema economico disumano e disumanizzante.
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