I lettura: Apocalisse 7,2-4.9-14;
II lettura: 1Giovanni 3,1-3;
Vangelo: Matteo 5,1-12a
“…Una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare: di ogni nazione, popolo e lingua”. Ecco i santi. Se potessimo vederla anche noi quella moltitudine, come l’ha vista l’apostolo Giovanni che ce la descrive nella prima lettura, probabilmente riconosceremmo certi volti di persone che ci sono passate vicino nella vita, che ci hanno voluto bene e che anche noi abbiamo amato…Essere santi è semplicemente assomigliare a Dio. Nulla di troppo strano, del resto: egli è nostro padre. Che c’è di strano se un figlio assomiglia a suo padre? Strano sarebbe se non gli assomigliasse per niente. Sì, “noi siamo figli di Dio”: l’affermazione non nasce dalla nostra presunzione ma dalla sua stessa autorevolezza (si veda la seconda lettura di questa Festa).
Ma a differenza di quello che accade sul piano biologico (dove la somiglianza con proprio padre o con la propria madre è data per natura), qui invece è affidata alla nostra responsabilità: simili a lui lo diventiamo se lo vogliamo. Tocca a noi insomma: è una scelta, una decisione da prendere ogni giorno di nuovo.
Sì – si dirà – ma Dio nessuno l’ha mai visto: non sappiamo nemmeno che faccia abbia. Come si fa ad assomigliargli? “Beati i poveri in spirito… i miti… Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia…i misericordiosi… i puri di cuore”: ecco i tratti del volto di Dio, ecco chi sono quelli che gli assomigliano.
In quella moltitudine immensa, ci sono tutti gli stati di vita: ci sono sposi che si son voluti bene, hanno sopportato quando c’era da sopportare e perdonato quando c’era da perdonare. Ci sono genitori che ai figli hanno dato non cose (che forse non avevano nemmeno) ma se stessi, la loro vita, giorno dopo giorno, momento per momento. Ci sono figli: giovani, ragazzi, perfino bambini, che portavano in sé la voglia di crescere e di realizzarsi come piace a Dio.
In quella moltitudine immensa c’è il volto di una Madre Teresa, che si piegava ogni giorno con tenerezza sui derelitti della società, ma dietro di lei vedremmo una schiera infinita di persone che hanno fatto altrettanto, senza clamore, senza che la gente nemmeno se ne accorgesse: anche volti di persone delle nostre Comunità che sapevano piegarsi su chi era malato, aiutare chi era bisognoso. Praticavano la solidarietà senza mai suonare la tromba davanti a sé. I santi!
Simili a Dio, peraltro, non si diventa perché non si offende mai il prossimo, ma perché – se capita – si affronta la fatica di chiedere perdono e di dare il perdono a chi ce lo chiede. Non si diventa santi perché si riga sempre dritto nella vita, ma perché, se capita di andar fuori strada, si ha il coraggio di riconoscerlo, e di tornare su quella giusta. Insomma non è col far meno peccati che si diventa simili a Dio, ma amando, amando sempre di più.
E qui vi è un presupposto che in teoria sembra scontato ma che in pratica non lo è affatto: solo chi si sente amato può amare a sua volta. Occorre vedere, toccare l’amore di Dio per noi, per essere capaci di amare davvero gli altri attorno a noi. Insomma, è necessario aprire gli occhi e accorgersi finalmente di quanto Dio ci vuol bene. Del resto, è proprio anche questa la parola che risuona in questa festa: “Figlioli! (è il vecchio apostolo Giovanni che parla) Quale grande amore ci ha dato il Padre!”. Ecco il segreto dei santi.
Erano profondamente consapevoli dell’amore di Dio per loro, ma consapevoli a tal punto che niente poteva metterlo in dubbio: né i problemi o le traversie, né le malattie o le disgrazie, né le violenze o le tribolazioni che dovevano subire. Niente poteva oscurare quella convinzione: “Dio mi ama di amore immenso. Come potrò ricambiarlo? Io abito nel cuore di Dio, che mi ama con tenerezza infinita. Mio padre e mia madre mi hanno amato come possono amare un uomo e una donna, ma Dio mi ama da Dio!”. Ecco la convinzione, il segreto dei santi.
E’ inevitabile allora l’interrogativo: quanti tra noi sono fermamente convinti che Dio li ama con tenerezza e fedeltà instancabile? La maggioranza dei cristiani probabilmente non vive con questa certezza, non ha questa esperienza. E allora è ovvio: nei rapporti con Dio e con il prossimo non si è capaci di generosità, di tenerezza; tutto quello che si fa per il Signore o per gli uomini sembrerà sempre troppo: troppo faticoso, troppo snervante… Solo chi si sente amato da Dio ha voglia di amare. Chi non si sente amato, è avaro nell’amore: non sa amare. Né Dio, né il prossimo.
Se non avessimo ancora fatto questa esperienza, è ora di cominciare. Non tolleriamo che la vita ci passi sotto gli occhi senza accorgerci che Dio ci ama: da Dio. Cioè tanto. Del resto ce ne ha dato molte prove fino ad oggi, e continua a darcene ogni giorno: esercitiamoci a vederle, apriamo gli occhi finalmente. Sarà tutto di guadagnato per noi. E ci ritroveremo simili a Dio senza averlo nemmeno programmato, ma soprattutto senza troppa fatica. Siamo suoi figli del resto. Non è naturale che i figli assomiglino al loro Padre?
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