Class Enemy è l’opera prima dell’esordiente regista sloveno Rok Bicek che a ventotto anni firma il suo primo lungometraggio; presentato l’anno scorso al festival di Venezia nella sezione Settimana della critica, ora il film è distribuito in Italia in 25 copie dalla Tucker Film.
Class Enemy è un film complesso, simbolico e metaforico, pur essendo decisamente lineare e in un certo senso semplice, perché tutti i personaggi sembrano avere ragione, ma anche torto.
Bicek infatti mette in scena tutte le sue perplessità, ispirandosi però ad un fatto vero accaduto proprio nel suo liceo di Lubjana, quando, dopo il suicidio di una studentessa, si creò un vero e proprio scontro tra insegnanti e studenti.
Class Enemy è ambientato esclusivamente in una scuola, che diventa palcoscenico e gabbia della vicenda. Tutto inizia quando l’insegnante di ruolo di tedesco va in maternità e al suo posto arriva il professor Zupan, interpretato da un algido e inscalfibile Igor Samobar, una star del cinema sloveno.
I ragazzi abituati a una modalità molto empatica, giocosa e protettiva da parte di tutti gli adulti, professori e genitori, che sono soliti giustificarli, sono completamente spiazzati di fronte alla prima autorità che incontrano: il professor Zupan, appunto.
Il nuovo professore di tedesco è un macigno, è distante, altero; con i suoi sguardi e con le sue parole scava nel profondo cercando di educare gli studenti, «durante le mie lezioni voi sarete degli esseri umani» afferma il primo giorno, esseri umani consapevoli e pensanti perché «a me interessa la vostra opinione», «studiare non significa sapere e volere non vuol dire potere».
Una modalità spiazzante per i ragazzi, tanto spiazzante che quando una studentessa si toglie la vita, la classe si trasforma in un ring.
Così gli studenti, vulnerabili e fragili, incapaci di razionalizzare e reagire all’autorità in modo positivo, assorbendo in modo esclusivamente emotivo quello che capita intorno a loro, cercano un capro espiatorio, esterno a loro stessi: il professore è il nemico perfetto.
E lo scontro si trasforma ben presto in una guerra. Tutto degenera e il professore a causa dei suoi metodi viene accusato di aver indotto la ragazza al suicidio, di essere pedofilo e nazista. Non c’è più freno una volta innescato il pregiudizio; la morte di Sabine viene strumentalizzata e diviene pretesto non solo contro il professore, ma contro il sistema in generale.
Bicek riflette sui meccanismi del pregiudizio e trasforma lo scontento nei confronti del professore in una metafora dello scontento sociale globale.
Un film dunque sfaccettato, per niente scontato, con una sceneggiatura intelligente e sagace, che lascia liberi gli spettatori di discutere e interpretare la vicenda, come del resto Zupan insegna ai suoi studenti a essere liberi e pensanti.
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