Ti raggiungo perchémi piacerebbe discutere con te di una questione che da tempo mi gira per la testa. Mi stupisco sempre quando mi accorgo quanto sia difficile dire “grazie”. Come mai a fronte di impegno, amicizia, fiducia, cura date con gratuità non si riesce ad avere in cambio neppure un grazie? Sono consapevole del fatto che quando si dona non lo si fa per ricevere in cambio qualcosa. Ma grazie è una parola meravigliosa. Nobilita la persona che la proferisce e rianima chi la riceve. Qual è il punto nodale quindi: la cultura? le origini geografiche? l'estrazione sociale? il grado di istruzione? Non penso sia alcuno di questi aspetti. Ma non riesco ad avere pace. Mi aiuteresti a cercare una risposta?
Grazie come sempre per le tue parole.
Sara
Grazia, ringraziamento, gratuità, grazie: sono parole che descrivono prima di tutto un atteggiamento interiore verso se stessi e verso il mondo. C’è qualcosa di primigenio, di primaverile, nella nostra vita, uno stupore originario, una meraviglia avvolgente che dovrebbe provocare in noi un sentimento di gioia e di gratitudine. Penso che agli albori dell’umanità, quando abbiamo scoperto di essere animali un po’ particolari, abbiamo provato grande paura, ma anche un grande senso di privilegio. Il mondo davanti a noi ci veniva offerto come dono gratuito. La vita stessa era un dono. Dobbiamo allora dire grazie alla vita, grazie per quanto abbiamo ereditato. Non ci potremo mai sdebitare con la vita. È una sensazione ancestrale che appunto risale alle nostre origini. Nei romanzi di Dostoevskij ci sono pagine di una bellezza assoluta in cui i protagonisti guardano la natura e scoprono l’armonia cosmica: penetrando in questo mistero, non possiamo non dire grazie.
C’è però una seconda scoperta da fare. Quella di essere dipendenti dagli altri. Sembra strano che questa nostra assoluta non autosufficienza sia qualcosa che fatichiamo a comprendere. Qualcuno ci precedeva. Qualcuno che ci ha chiamati all’esistenza. Dovrebbe essere un dato scontato, iscritto nella biologia prima che nella cultura. Invece lo dimentichiamo. Dimentichiamo di essere nati dai nostri genitori, di essere stati partoriti, allattati da nostra madre, di essere stati curati dalle altre persone intorno a noi. Non ricordiamo che senza di loro non solo non saremmo mai venuti al mondo, ma che saremmo morti subito. Cosa dovremmo fare se non ringraziare?
Mi sembra che la gratitudine sia un atteggiamento umano. Non serve essere religiosi per dire grazie. Certo, lo sappiamo, è da Dio che ci provengono tutti i nostri beni. La radice della gratuità sta in Dio. Il Dio cristiano poi ci ama gratuitamente, senza meriti, a prescindere dalle nostre capacità, dalle nostre azioni buone o cattive. Ci salva senza nessun nostro merito. Cosa vuol dire che ci salva? Che ci dà la possibilità di comportarsi come Lui, cioè di poter amare, gustare la vita, essere felici e appunto ringraziare. La fede è una via di liberazione, ci offre una visione più ampia, più profonda della realtà, ma non è in contrapposizione con il sentire umano. Dio ci consente di amare gli altri essenzialmente perché ci libera dalla paura. Questa è la grazia speciale da invocare sempre!
Ecco, la paura. Penso che sia questa la ragione fondamentale per cui facciamo così fatica a dire grazie. È ovvio: la vita ci procura sofferenza, angoscia, terrore, difficoltà, forse anche disperazione. Le altre persone possono diventare concorrenti, rivali, nemici fino alla morte. Abbiamo invidia anche dei nostri cari, vogliamo essere i primi, vogliamo emergere. Soprattutto abbiamo paura di non dimostrarci autonomi e liberi. Paura di fidarci troppo. Siamo sospettosi. Non è possibile che qualcuno ci voglia bene in modo gratuito. “Chissà cosa c’è dietro”, pensiamo implicitamente. E allora, perché ringraziare? Meglio essere guardinghi, meglio farci vedere forti, scontrosi. Perché facciamo così? Appunto per la paura di dimostrarci deboli. I violenti sono i più terrorizzati. Chi uccide è il più disperato di tutti. È convinto di annientare l’altro, ma in realtà si autodistrugge. Nella vita quotidiana abbiamo 1000 piccoli atteggiamenti di paura che ci spingono a chiuderci in noi stessi. A pensare di essere sempre trattati male. Di pretendere tutto senza dare nulla.
Se ci liberiamo dalla paura, diremo più facilmente grazie. E, come dici tu, miglioreremo il mondo. È bello essere ringraziati, sentirsi utili per gli altri. Si crea un clima di concordia, rispetto, solidarietà, cooperazione, festa. E a nostra volta dovremmo ringraziare di essere stati ringraziati. È necessario innestare questo circolo virtuoso, per capire insieme con gli altri di essere tutti interdipendenti, incompleti, bisognosi di aiuto, affetto, amicizia, amore, fiducia.
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