I lettura: 1 Re 19,9a.11-13a;
II lettura: Romani 9,1-5;
Vangelo: Matteo 14,22-23
Erano i tempi in cui i nobili erano soliti andare a caccia con il falco. Un ricco signore ricevette in omaggio due pulcini di falco e li affidò a un esperto di falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, costui fece sapere che sì, uno dei due falchi era perfettamente addestrato, ma l’altro non si riusciva a smuoverlo dal ramo sul quale si era appollaiato fin dal primo giorno. Si pensò che fosse malato, o avesse qualche handicap nell’uso delle ali. Si consultarono veterinari ma nessuno riuscì a schiodare il falco dal suo ramo. Poi un giorno si presentò un giovane contadino e fece il miracolo: prese una sega, tagliò il ramo dell’albero… e il falco subito spiccò il volo. L’improvvisa mancanza del suo sostegno abituale lo rese consapevole di avere… le ali. E fu costretto ad adoperarle.
Noi ci riteniamo credenti in Gesù Cristo, ma non sappiamo in che misura lo siamo davvero. Avere la fede è un po’ come avere le ali, ma non è detto che le sappiamo adoperare: anche le galline da cortile le hanno, ma non le usano; tutt’al più svolazzano raso terra…
Forse non sta bene dirlo (perché qualcuno potrebbe accusarci di essere sadici o masochisti), resta però vero anche per noi: quasi sempre è necessario uno scossone, qualcosa che metta in crisi le nostre sicurezze, per indurci ad usare le ali, cioè – fuori metafora – per mettere in movimento la Fede che abbiamo nel cuore. Una volta tagliato il ramo sul quale stava appollaiato, quel falco finalmente spiccò il volo.
Accadde qualcosa di simile ad Elia, il più grande di tutti i profeti della storia biblica. Aveva predicato Dio per tutta la vita, aveva richiamato il suo popolo alla fedeltà a volte con toni perfino violenti. E con successo, almeno in certe occasioni. Poi, come spesso accade, la ruota aveva preso a girare all’incontrario e le cose per lui si erano messe male: da uomo cercato, apprezzato, venerato, si trovò ridotto a “povero cristo”, ricercato e braccato per essere addirittura eliminato. Si sentì mancare il terreno sotto i piedi (il ramo!) e dovette fuggire. Ma in quella fuga sperimentò una trasformazione sconvolgente: da predicatore di Dio quale era sempre stato, imparò a diventare cercatore di Dio. Era come iniziare una nuova avventura. Giunto all’Oreb (il Monte Sinai) dopo un lungo cammino nel deserto, scoprì che Dio non era nel fuoco, come lui aveva sempre pensato, nemmeno nel vento impetuoso che scuote la natura, e neanche nel terremoto (Elia, ovunque arrivava, era una specie di terremoto!): no, Dio era nel silenzio di una brezza leggera… In quel silenzio lo incontrò, a tu per tu, come fosse la prima volta. Perché questa è la fede. Se fosse rimasto appollaiato al ramo a predicare Dio agli altri, non avrebbe mai incontrato quel Dio che predicava; ma il ramo fu reciso… e il profeta fu costretto a volare all’incontro con Dio.
Qualcosa di simile accadde a Pietro, l’apostolo. Quella notte, sul mare in burrasca, nessuno dei Dodici se l’aspettava: vedere il Maestro venire verso di loro camminando tranquillo sulle onde era l’ultima cosa che avrebbero immaginato. Eppure avrebbero dovuto sapere che lui, dal monte sul quale era salito per pregare, teneva d’occhio quella barca agitata dalla tempesta e non li avrebbe comunque mai abbandonati… (Forse che noi, i Dodici di oggi, non abbiamo mai la sensazione che il Signore ci abbia abbandonati?). ”Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque!”. Ma, scusa Pietro, cos’è questo? “Fidarti”, o non piuttosto “sfidare” il Signore? È più facile, più frequente sfidare Dio che non fidarsi di Dio. Noi oscilliamo sempre tra un fidarci totalmente di Gesù Cristo e la paura di farlo davvero, di farlo totalmente, senza condizioni. “Vieni!” gli rispose Gesù. A Pietro, lì per lì, non sembrò vero di camminare sulla cresta dell’onda, ma poi la paura ebbe il sopravvento e cominciò ad affondare. Sì, il ramo era stato reciso, ma il volo finì ben presto: le ali erano ancora rattrappite. “Signore, salvami!”. “Uomo di poca fede: perché hai dubitato?”.
Ma cos’è allora la fede? Come può essere tanto audace la fede da consentirci di non avere paura? Sappiamo benissimo che non siamo eroi, né super-uomini, né super-donne… Di fronte alle difficoltà, alle prove della vita, alle tribolazioni, siamo tutti deboli, tutt’altro che abili ad affrontarle e superarle con dignità. Il che vale per tutti, credenti o non credenti. Sì, ma a noi – discepoli di Gesù – è data l’opportunità di legarci in modo vitale e indissolubile a lui. E se questo legame, che da parte sua tiene ed è forte, è forte e tiene anche da parte nostra, allora si può attraversare la bufera, le tempeste e tutto il resto, perché è lui stesso che fa la traversata con noi. No, non basta avere le ali, o che venga a mancare il sostegno sotto i piedi per volare davvero. Legarsi a Cristo con vincolo indissolubile e vitale: ecco ciò che ci rende capaci di “adoperare le ali”.
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