I lettura: Atti degli Apostoli 2, 14a.36-41;
II lettura: 1Pietro 2,20b-25;
Vangelo: Giovanni 10,1-10
La porta è importante in una casa. Certo, anche le finestre, mica si può vivere al buio, ma più importante è poter entrare e uscire. È vero che i ladri entrano più spesso dalle finestre, ma le persone normali di solito passano per la porta.
Gesù – il nostro Signore risorto – in questa prossima domenica si presenta a noi così: “Io sono la porta delle pecore”. In Palestina se ne vedono ancora. Vanno al pascolo tutte insieme, seguendo un pastore. La sera rientrano all’ovile, che è un recinto di sassi con una porta. Anche se l’immagine potrebbe offendere qualcuno, trovo che è molto realistica e perfino molto bella.
È realistica perché l’umanità, la società, anche se si è evoluta ed emancipata sotto tanti punti di vista, per troppi aspetti continua ad essere un gregge, sia in positivo che in negativo; e chi presume di voler essere diverso dagli altri, non di rado si ritrova semplicemente pecora d'un altro gregge… I liberi pensatori, per esempio, sono numerosi al giorno d'oggi; resta da vedere se sono davvero liberi o se invece hanno soltanto cambiato gregge.
È bella l’immagine del gregge. Prima di tutto perché un gregge non è un esercito, non si muove come un plotone: le pecore non fanno violenza a nessuno. Bella anche perché a guidare questo gregge è il pastore Gesù. Il pastore palestinese cammina davanti al gregge, lo attrae col suo richiamo, non sta dietro per costringere a camminare, magari a bastonate.
In questo brano domenicale però Gesù si limita a presentarsi come “porta” del recinto, dell’ovile. Vuol dire che, per noi suoi discepoli, lui è importante quanto la porta di casa nostra. “Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà con piena libertà e disinvoltura”. “Entrare e uscire” nel parlare della Bibbia vogliono dire “vivere con dignità, come persone che camminano a testa alta”. Ma è davvero possibile al giorno d’oggi essere liberi e camminare a testa alta? E poi, chi è questo Gesù che pretende di essere la porta della nostra vita? Pietro, l’apostolo, in questa domenica ce ne offre un ritratto nelle due letture che precedono il vangelo: “È uno che ha scelto di vivere come un servo e ha dato la vita per amore. Sulla croce.” E non è tutto: persone che hanno donato la vita ce ne sono sempre state a questo mondo. Chi le vede, può dire: “Sono dei martiri” – oppure: “sono degli imbecilli!” (a seconda dell’occhio con cui si guarda). Ma qui, nel caso di Gesù, si va oltre queste opinioni (è sempre l’apostolo Pietro a parlare): “Sappiate con certezza che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che è stato crocifisso!”. È come dire: lo ritenevate un fallito? No, è la persona meglio riuscita a questo mondo. Che se poi preme anche a voi riuscire nella vita, realizzarvi in pienezza, sappiate che dovrete fare come Lui. Ecco perché si presenta a noi con questa strana identità: “Io sono la porta: è attraverso di me che si entra e si esce con libertà”.
Certo, questo messaggio stona maledettamente con tutto un modo di pensare che oggi va per la maggiore e dal quale il vangelo ci mette in guardia: “In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro, un brigante!”. Quando gli adolescenti, i giovani, o certi adulti, voltano le spalle a Gesù Cristo, lo fanno perché sono in crisi, o perché sono stati plagiati da qualcuno che è entrato nella loro vita da ladro e brigante?
In questa prossima domenica si celebra la giornata mondiale delle vocazioni. Vocazione significa “chiamata”: chi crede, sa che non è venuto al mondo per caso, ma perché Qualcuno – che l’ha pensato e amato da sempre – l’ha chiamato alla vita Tutti, in questo senso, abbiamo la nostra vocazione. Questa parola però ha preso anche un significato più specifico: è la decisione di rispondere a Dio che chiama a donarsi a lui e ai fratelli. Si pregherà infatti perché Dio renda più numerose queste vocazioni. Io, peraltro, non sono tanto sicuro che Dio potrà ascoltarci… perché sul ghiaccio, o sul terreno gelato, nessuno può seminare: neanche Dio. Scegliere di essere prete, religiosa, missionario, è disporsi a donare la propria vita; ora, come si può pensare di compiere una tale scelta, se l’unica logica che si condivide è quella del prendere invece che del donare, del godersi la vita a qualsiasi prezzo anziché spenderla per Dio e per gli altri?
Sì, è giusto pregare per queste vocazioni, ma prima ancora occorre porre le condizioni perché Dio ci possa ascoltare. Non può essere che Dio abbia smesso di chiamare, è che probabilmente non siamo molto propensi ad ascoltarlo. Ascoltare Dio è cosa che si impara, occorre che qualcuno educhi a farlo. Se Gesù Cristo – anziché essere un innocuo soprammobile nelle nostre case o nelle nostre chiese – diventa davvero la porta della nostra vita, allora probabilmente sapremo ascoltare Dio, e daremo anche a lui la possibilità di ascoltare la nostra preghiera.
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