C’è un acronimo che da qualche anno si è imposto con prepotenza nel lessico economico: ESG, Environmental, Social, Governance. L’acronimo identifica le buone pratiche aziendali volte a ridurre l’impatto ambientale, promuovere diritti e benefici sociali, garantire trasparenza, coscienziosità, etica dei comportamenti e di governo. Ciò avviene mediante un’ampia serie di misurazioni, che agenzie indipendenti fanno confluire in un indice sintetico (rating), a beneficio di investitori, dipendenti, banche e clienti dell’organizzazione richiedente, la quale migliora così la propria reputazione. Le metriche ESG valorizzano, ad esempio, la riduzione delle emissioni e dei consumi energetici, la corretta gestione delle risorse naturali, degli acquisti e dei rifiuti, il rispetto dei diritti civili e lavorativi, le garanzie di salubrità e sicurezza per clienti e lavoratori, le prassi formative e inclusive, la legalità, il merito e i criteri di guida e di controllo dell’azienda. L’organizzazione che documenta buone pratiche di questo tipo è meglio attrezzata contro i rischi di shock e di infrazioni, e spesso recupera efficienza, divenendo più sostenibile, sia in termini di fabbisogni finanziari sia di impatto sull’ambiente e sulla collettività. Molte aziende redigono un periodico resoconto delle attività ESG chiamato appunto «bilancio di sostenibilità».
Il rating ESG va perciò di moda: non solo per le norme sempre più stringenti in materia (v. direttiva UE 2464/2022) o per gli incentivi ad ottenerlo, ma anche perché funzionale a reali esigenze delle imprese, anche piccole, per attirare investitori, ottenere credito, convincere clienti, fornitori e l’ente pubblico, il quale a sua volta ne subisce il richiamo. Ne è un esempio la «Strategia provinciale della XVII Legislatura», approvata dalla Giunta provinciale il 28 giugno 2024, che «punta a fare del Trentino il primo territorio con un rating ESG, con il fine di valorizzare le [nostre] eccellenze imprenditoriali e della ricerca» (A.S. 9.3).
Riconosciuta ormai da tutti l’attitudine dell’impresa a effondere concreti benefici collettivi (come crescita, lavoro, servizi e ritorni fiscali) la pagella ESG si spinge più in là, setacciando anche benefici più difficili da misurare, sempre più contigui al bene comune e sempre meno al profitto (v. ambiente ed etica). Ciò ha aperto dibattiti sul senso di queste misurazioni, fra chi le vede inscindibilmente correlate agli obiettivi di performance economica dell’impresa e chi invece le vede indipendenti. Banalmente: ci credo perché guadagno o ci credo a prescindere? È stato osservato che «la prima visione privilegia il mercato ma tradisce di fatto gli obiettivi etici ESG; la seconda porta l’approccio ESG troppo fuori dalla sfera propria del mercato risultando altrettanto implausibile» (Valentina Gentile, L’approccio ESG fra mercato, etica e fini dell’impresa, Il Sole24Ore, 5 ottobre 2023).
A sciogliere il dilemma, rinvigorendo queste procedure, potrebbe essere oggi proprio la planetaria avanzata del negazionismo climatico, congiunta alle vecchie e nuove violazioni dei diritti umani. La difesa dei valori ESG, da parte delle istituzioni e del sistema imprenditoriale, potrebbe infatti fungere da dissuasore delle sbrigative aggressioni alla biosfera e ai principi del nostro convivere. Un dissuasore diffuso, a forte carica simbolica, che potrebbe rivelarsi meno cedevole di quanto sembri. E le imprese, nonostante gli oneri delle certificazioni, finiranno pure col guadagnarci.