L’assedio di Trump (e Musk) mira a indebolire l’Ue

La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il 4 gennaio ha incontrato a Mar a Lago il Presidente eletto degli Stati Uniti d’America, Donald Trump © foto governo.it

Non si è ancora insediato alla Casa Bianca e già Donald Trump ha cominciato ad assediare l’Unione europea con le sue dichiarazioni e i suoi atti. Già sappiamo dal Trump1 il disprezzo che il presidente americano nutre nei confronti degli sforzi di integrazione di Bruxelles. Temiamo che con il Trump2 sarà ancora peggio.

La dichiarazione di volere acquisire agli Usa la Groenlandia, non escludendo neppure il ricorso alle armi, non è la boutade di un comico qualsiasi. È evidente a tutti il valore strategico di quella immensa terra (4 volte l’Italia) soprattutto ora che si sciolgono ghiacci e si apre il famoso passaggio marittimo a Nord Ovest accorciando drasticamente le rotte commerciali. È un’eventualità che interessa enormemente anche Russia e Cina che puntano come gli Usa anche alle ricchezze minerarie e alle terre rare che si trovano in quell’isola. Ma la Groenlandia è un’entità autonoma che appartiene al regno di Danimarca, quindi parte integrante dell’UE. Perciò l’attacco trumpiano è diretto, tanto per cambiare, a Bruxelles.

Ma a parte la follia di questa pretesa, che molti tendono a derubricare in semplice battuta di spirito, vi è un aspetto ancora più preoccupante: essa apre la strada alle pretese di Vladimir Putin sull’Ucraina o di Xi Jinping sull’isola di Taiwan. In fondo la narrativa russa di attaccare l’Ucraina era basata sulla difesa al di là dei confini della minoranza russofona e sul baluardo da porre alle mire neocoloniali ed espansionistiche della Nato e dell’UE. Ma se i confini, come pretendono gli europei, sono inviolabili allora come si giustificherebbe una pressione armata contro la Groenlandia e contro la stessa UE? Argomento vantaggioso per Putin e che in ogni caso potrà essere utilizzato nell’evenienza di un negoziato di pace con Kyiv.

Ma se la Groenlandia è stato un argomento facilmente opponibile da parte europea, ben più preoccupanti sono le continue interferenze Usa sulle vicende politiche dei singoli stati europei. Qui ad agire per conto di Trump è quel “genio” di Elon Musk che non perde occasione per colpire questo o quel leader europeo, dal primo ministro britannico Keir Starmer al cancelliere tedesco Olav Scholz nel pieno di una drammatica campagna elettorale. La tattica di Musk, che ricorda quella dell’ideologo del Trump1 Steve Bannon (finito recentemente anche in carcere per truffa), è quella di sostenere a spada tratta i partiti della destra estrema europea, come è stato recentemente il dialogo a due con la leader del partito neonazista tedesco AfD, Alice Weidel. Stessa strategia nei confronti di tutte le altre forze estremiste europee dai francesi della Le Pen al Fedez di Orbàn, partiti che hanno in comune due linee politiche.

La prima è lo scetticismo nei confronti di Bruxelles e il sostegno prioritario ai sovranismi nazionali; la seconda è l’atteggiamento “comprensivo” nei confronti di Vladimir Putin a scapito di Kyiv. Peccato che fra gli “amici” di Musk entri nel conto anche Giorgia Meloni con il rischio di mettere in dubbio il suo forte sostegno all’Ucraina e l’impegno ad aumentare il ruolo dell’UE nel campo della difesa. Perché proprio sul futuro della difesa europea si giocherà gran parte dei rapporti fra UE e Usa nei prossimi anni.

Come è noto Trump chiede insistentemente che gli europei assumano una più netta corresponsabilità finanziaria e militare all’interno della Nato. Non è una novità: anche il Trump1 aveva indicato nel 2% del Pil nazionale la soglia di contribuzione dei paesi europei (come deciso dalla Nato stessa diversi anni fa). Oggi solo Francia, Germania e Polonia raggiungono quel limite (l’Italia è all’1,5%). Ma per il Trump2 questo limite non è più sufficiente. Le ultime dichiarazioni parlano addirittura di un 5%, soglia irraggiungibile per la maggiore parte dei paesi europei, a cominciare dal nostro ormai eccessivamente indebitato. Ma a parte il debito finanziario, è politicamente inverosimile un tale balzo in avanti nel campo delle spese militari a scapito del welfare sociale dell’UE. È certamente vero che l’Europa abbia delegato quasi in toto agli Usa l’impegno finanziario e bellico apparso in tutta la sua enormità con la guerra Russia/Ucraina. Ma a preoccupare di più non è tanto la (giusta) pretesa americana di prenderci le nostre responsabilità anche nel campo della sicurezza. È piuttosto il fatto che tali richieste sono dirette ai singoli stati membri e non all’intera Unione. In altre parole, anche nel campo della difesa la parola d’ordine della nuova amministrazione è di adottare il metodo del “divide ed impera” a tutto vantaggio di Washington.

Che si interferisca nelle vicende politiche interne dei singoli stati o che si pretenda da loro uno sforzo finanziario maggiore, tutto è orientato ad indebolire l’UE e ad evitare che questo gigante economico e commerciale possa nuocere alla potenza americana. Sta a noi europei decidere come confrontarci con il Trump2 che già prima di entrare alla Casa Bianca ci pone una sfida esistenziale.

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