Nella 30a Giornata mondiale per la lotta all’Aids, analisi e spunti da Casa Lamar. Preoccupa la poca consapevolezza dei giovani
“E’ stato bello stare in vostra compagnia”. E’ il messaggio che Lia ha lasciato scritto sul nuovo murales che campeggia a Casa Lamar, la residenza protetta per pazienti affetti da Aids alla periferia nord di Trento. Il Centro Trentino di Solidarietà Onlus l’ha inaugurato venerdì primo dicembre, in occasione della 30a Giornata mondiale per la lotta all’Aids. L’hanno realizzato gli ospiti di Casa Lamar e di Casa Giano – l’altra realtà protetta gestita dalla Onlus – con alcune ragazze della cooperativa Arianna, grazie al contributo della Circoscrizione di Gardolo, delle farmacie Cristo Re di Gardolo e Ropelato di Sarche. Proprio a Casa Lamar il Cts ha voluto proporre un seminario di studio sull’Hiv/Aids, per sensibilizzare sulla prevenzione e sulla cura del contagio da Hiv: negli anni, complice anche il miglioramento delle terapie disponibili, è diminuita l’attenzione sociale, ma l’Hiv non è scomparso. Ogni anno in Italia si presentano nuovi casi di infezione che riguardano in particolare giovani – maschi ma anche femmine – contagiati attraverso rapporti sessuali non protetti. A differenza degli anni Ottanta del 1900, la malattia interessa oggi trasversalmente tutte le categorie di persone e non solo tossicodipendenti e omosessuali. “Se ne parla solo il primo dicembre, come se fosse una festa di compleanno, ma il problema dell’Hiv non è scomparso”, ragiona Antonio Simula, responsabile di Casa Lamar. “Per questo abbiamo pensato di organizzare questa giornata di studio che vuole essere anche una riflessione e un monito a non abbassare mai la guardia e a tutelare la propria salute, evitando i comportamenti a rischio”. La scienza medica ha fatto importanti passi avanti rispetto alla conoscenza dello sviluppo della malattia causata dal virus ed esistono terapie efficaci, in grado per ora di rallentarne la progressione e di garantire una migliore qualità di vita rispetto al passato. Ma l’idea che si è fatta strada, che si tratti di una malattia cronica, con la quale sia comunque possibile in qualche modo convivere, sta facendo danni. “In realtà di Aids si muore ancora – puntualizza Simula – o, meglio, si muore di tutta una serie di patologie correlate”.
Sono i numeri a dimostrare la necessità di mantenere alto il livello di guardia. Nei centri dedicati di Trento e di Rovereto sono seguiti 650 pazienti, che grazie alle terapie attuali hanno una sopravvivenza sovrapponibile a quella della popolazione generale; il problema però è il tasso delle nuove infezioni, spiega il dottor Claudio Paternoster, medico infettivologo dell’U.O. Malattie infettive di Trento. E’ un trend costante – circa 30 i nuovi casi all’anno in Trentino (33 nel 2016, che hanno riguardato 13 cittadini italiani e 19 stranieri: in un caso la nazionalità non era riportata) – che non sembra diminuire. “E’ cambiata la modalità con cui ci si infetta”, conferma Paternoster. In passato la maggior parte di chi si infettava faceva uso di droghe per endovena, oggi “la stragrande maggioranza dei casi avviene per trasmissione sessuale: prevalentemente omosessuale nei maschi, eterosessuale nelle donne”. Un altro dato epidemiologico emerso negli ultimi due, tre anni è che sta diventando rilevante tra i cittadini stranieri “la percentuale di soggetti infetti con diagnosi di nuova infezione”: si arriva al 30-40 per cento. E preoccupa la scarsa conoscenza e la poca consapevolezza dei giovani. Dei quasi 4 mila nuovi casi ogni anno in Italia, il 10 per cento riguarda giovani tra i 14 e i 24 anni e un altro 20 per cento tra i 25 e i 29 anni. “Nonostante siano passati trent’anni, è aumentata tra i nostri giovani l’infezione da Hiv. E questo dovrebbe far pensare”, osserva Maurizio Sgrò, medico internista del Servizio per le dipendenze dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari. “Siamo arrivati nell’ultimo anno a 3.600 nuovi casi. E quello che più preoccupa è l’abbassarsi dell’età. Oltre all’ignoranza che riscontriamo, nonostante le campagne informative. Bisogna fare di più, forse anche cambiare le modalità della comunicazione con i giovani”.
Da Casa Lamar è emerso l’invito a “prendersi cura”, non solo in termini di terapia, ma pensando anche a “curare le relazioni”. Spiega Simula: “L’infezione da Hiv va affrontata prendendosi cura delle relazioni: che siano relazioni responsabili, attente all’altro. L’80 per cento delle infezioni è dovuta ai rapporti sessuali e questo ci dice come sia importante una rieducazione all’affettività e alla responsabilità relazionale; l’altro non è un oggetto per soddisfare i propri bisogni, ma una persona da amare e da cui lasciarsi amare”.
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